Vuoi uno spazio pubblico? Va mostrato un “certificato di antifascismo”

22 Lug 2017 14:09 - di Massimiliano Mazzanti

Siena è arrivata per prima; ora è la volta di Arco (in provincia di Trento) e nel primo autunno potrebbe accodarsi Bologna: in tutte queste città, per poter svolgere una manifestazione pubblica, associazioni e partiti, chiedendo le dovute autorizzazioni, saranno costrette a firmare anche una sorta di “certificato di antifascismo”.

La natura di questo nuovo documento amministrativo è ancora tutta da definire, ma le linee guida sono chiarissime: a Siena, l’attestazione dovrà dimostrare che il richiedente “riconosce esplicitamente i valori antifascisti espressi nella Costituzione italiana”; a Bologna uno specifico ordine del giorno ancora non è stato votato, ma la “filosofia” del provvedimento, negli annunci di una consigliera del Pd, è analoga; ad Arco si è andati anche oltre, prevedendo nell’“odg” anche il metodo di attuazione della delibera, stabilendo come debba essere “il comune, oltre a far sottoscrivere la dichiarazione a tutte le associazioni – siano esse di volontariato, sportive o altro – a tenere d’occhio i social e monitorare i contenuti dei singoli post, stabilendo se essi siano più o meno discriminatori ed eventualmente non concedere i contributi o gli spazi pubblici secondo questa valutazione”.

Ora, al di là dei mille e mille ragionamenti sull’antifascismo della Costituzione, quel che balza vistosamente agli occhi è la natura assolutamente illegale e inutile di una tale certificazione e, di conseguenza, l’incapacità della sinistra, nel suo “furor” ideologico nell’applicazione di una norma transitoria della “Carta”, di rispettare svariati e fondamentali articoli delle parti “preambolare” (articoli dall’1 al 12) e “Prima” (da 13 a 54) della legge fondamentale della Repubblica. In questo senso, il documento approvato ad Arco è emblematico: la XII disposizione transitoria e la conseguente “legge Scelba” e successive modificazioni e integrazioni sono chiaramente materia di Diritto penale; dunque, un ente amministrativo potrebbe e può certamente pretendere una certificazione che attesti che un soggetto non sia mai stato condannato per i reati di “apologia” e “tentata ricostituzione del partito fascista” così come per qualsiasi altro reato, ma di certo non può appropriarsi del potere di dichiarare “reato” un qualsivoglia gesto, una qualsiasi dichiarazione scritta o orale, una qualunque espressione del pensiero.

Questo potere – se ne faccia una ragione il Pd – la Costituzione lo assegna esclusivamente alla magistratura. Ed è curioso come proprio il “partito dei giudici”, quel Pd sempre pronto a denunciare i presunti tentativi altrui di “limitare” il potere e di “minare” l’autonomia della magistratura, voglia addirittura sostituirsi ai giudici, scalzandoli dal loro ruolo. Quindi, non potendo assolutamente appropriarsi di questa prerogativa, come pretenderebbe il Comune di Arco, anche i documenti approvati a Siena e in discussione a Bologna tradiscono la loro palese inutilità, essendo chiaro come sia perfettamente senza senso chiedere l’attestazione di un qualcosa che non può essere contestato oggettivamente da chi la pretende né dimostrata per autentica da chi la rilascia. Insomma, è solo un porcheria giuridica e amministrativa, contro cui ha ben fatto Lorenzo Rosso, responsabile cittadino di Fratelli d’Italia nel capoluogo toscano, ad annunciare il ricorso al Tar per ottenerne “tout court” l’annullamento.

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