L’ultimo crimine del comunismo: la Cina fa morire il Nobel Liu Xiaobo

13 Lug 2017 17:06 - di Redazione

La sedia vuota di Liu Xiaobo alla cerimonia di premiazione del Nobel per la pace 2010 rimane un potente simbolo della repressione di ogni dissenso da parte di Pechino. Ma lo è anche la sua morte oggi in ospedale, dopo che le autorità cinesi gli hanno rifiutato più volte il trasferimento per cure all’estero. Scarcerato il 26 giugno perché colpito da un tumore al fegato ormai in fase terminale, il dissidente cinese aveva chiesto invano di potersi far curare negli Stati Uniti o in Germania e per questo aveva rifiutato ieri di farsi intubare nel timore di diventare intrasportabile. Il suo ultimo desiderio era portare all’estero l’amata moglie Liu Xia, da anni agli arresti domiciliari, in modo da donarle una vita libera. Scrittore, saggista, poeta, attivista per i diritti civili, il 61enne Liu Xiaobo era nato a Changchun, nella provincia di Jilin, il 28 dicembre 1955. Educato come cristiano, aveva conseguito un dottorato in letteratura all’università di Pechino. Pensatore brillante e anticonformista, filo occidentale, negli anni Ottanta Liu era molto noto nei circoli intellettuali della capitale cinese ed è stato visiting professor all’università di Oslo in Norvegia e, negli Stati Uniti, alla Columbia University e all’universita’ delle Hawaii.

Da piazza Tienanmen al carcere 

Nella primavera 1989 tornò dall’estero per partecipare alle proteste di piazza Tienanmen. Arrestato, rimase in carcere per 19 mesi. Nel gennaio 1991 fu condannato per “propaganda ed istigazione  controrivoluzionarie”, ma senza finire in carcere. Nell’ottobre del  1996 fu inviato a trascorrere tre anni in un campo di rieducazione a  causa delle sue critiche al partito comunista. Liu Xiaobo è stato presidente del ramo cinese dell’associazione  internazionale di scrittori Pen Club  fra il 2003 e il 2007,  quando fu nuovamente arrestato e interrogato in carcere a proposito di suoi articoli apparsi sui siti web stranieri. L’ultimo arresto risale al dicembre 2008 a causa della sua adesione ad un movimento per l’avvento della democrazia in Cina. Liu Xiaobo era il primo firmatario del manifesto di Charta 08, cui hanno aderito 330 intellettuali cinesi, che elencava una serie di riforme necessarie per una trasformazione democratica del paese asiatico. Il 25 dicembre  2009, Liu è stato condannato a 11 anni di carcere per “incitamento  alla sovversione dei poteri dello Stato”.

La medaglia del Nobel posata su una sedia vuota

Nel 2010 Liu ha ricevuto il premio Nobel per la pace  «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina». Il diploma e la medaglia del premio Nobel vennero posate su una sedia  vuota, dato che il dissidente era in carcere. Pechino esercitò forti pressioni per evitare la premiazione di Liu, cui seguirono tensioni diplomatiche fra Cina e Norvegia. Fra gli sponsor della sua candidatura vi era l’ex presidente ceco Vaclav Havel, promotore di Charta 77, il manifesto di dissidenti cecoslovacchi a cui si erano  ispirati i firmatari di Charta 08. Sin dall’annuncio del premio, la moglie Liu Xia è stata posta agli arresti domiciliari nella sua casa di Pechino. Contro la donna non  sono mai state mosse accuse formali. Xia e Xiaobo si erano conosciuti  negli anni ottanta, quando entrambi erano sposati con altri partner e  frequentavano lo stesso giro di amici boehmien. Lui era un brillante  intellettuale donnaiolo, lei una giovane poetessa che lavorava come  funzionaria del governo. I loro due matrimoni naufragarono dopo il suo primo arresto. Quando lui fu rilasciato nacque il loro amore. «Ho  trovato tutta la bellezza del mondo in questa donna», confidò Xiao all’amico Mo Zhixu.

La crudeltà della polizia cinese anche sulla moglie Xia

Dopo l’ultimo arresto del 2008, Xia e Xiaobo non sono  più stati liberi insieme. Gli arresti domiciliari sono stati una prova molto dura per Liu Xia. Senza telefono e internet, isolata dal mondo,  ha avuto rare occasioni di vedere i familiari e il marito, sempre  sotto la sorveglianza della polizia. E la censura ha bloccato perfino  le poesie d’amore che i due coniugi cercavano di mandarsi l’un l’altro. Nel 2009, quando il Guardian l’aveva incontrata, l’allora 49enne Liu
Xia, appariva come una persona dalla “presenza luminosa” con un fisico snello da ragazzina, il sorriso ironico e un gran senso dell’umorismo. Ma il lungo isolamento ha duramente provato questa donna un tempo  piena di grazia ed effervescenza. Nel 2011 alcuni giornalisti riuscirono ad introdursi nella sua casa,  trovando la donna irriconoscibile, afflitta da tremori e crisi di  pianto. Nel 2014, Liu Xia ha avuto un attacco di cuore. E negli ultimi mesi ha perso entrambi i genitori. «Liu Xia ha sofferto in nome del  sogno di Liu Xiaobo. E ora Liu Xiaobo ha rinunciato all’insistenza di  non voler lasciare la Cina per il bene di Liu Xia», raccontava nei  giorni scorsi Ye Du, un amico comune. “Anche se fossi ridotto in  polvere, userei le mie ceneri per abbracciarti”, le aveva scritto lui  nel 2009.

 

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