Legnini (Csm): fuori dai tribunali le toghe entrate in politica. Ma non basta
Si accontenta di poco il senatore Renato Schifani se, come pare di capire da una sua entusiastica dichiarazione, plaude all’intervista resa al Messaggero dal vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini. L’argomento, spinosissimo, riguarda il rapporto tra toghe e politica, fresco della polemica innescata dalle parole del pm Antonio Di Matteo che, anch’egli a mezzo stampa, non ha escluso di accettare la carica di ministro dell’Interno in un eventuale governo a Cinquestelle.
Il vicepresidente del Csm intervistato dal Messaggero
Legnini, però, nella sua conversazione con il Messaggero ha illuminato soprattutto l’altro aspetto, quello a valle, che riguarda il ritorno dei togati nei ruoli della magistratura dopo aver ricoperto cariche o incarichi politici. A costoro Legnini intima. anzi consiglia, di stare fuori dai tribunali. E non lesina critiche, seppur felpate, al disegno di legge che ne regolerebbe le modalità in caso di ritorno all’attività lavorativa («permane a mio avviso un punto debole. Parlo della disciplina del reingresso in ruolo del magistrato che ha compiuto un’esperienza politica»). Legnini ha auspicato, in conformità con il contenuto di una delibera del Csm, l’approvazione di una norma che «impone a chi abbia ricoperto un incarico elettivo o di governo, tanto più se prolungato, di non tornare a fare il magistrato, optando per altre funzioni, quali l’Avvocatura dello Stato, il ministero della Giustizia o altre pubbliche amministrazioni». Sul punto, ha assicurato Legnini, ci sarebbe «largo consenso nella magistratura».
Il plauso del forzista Schifani
Circostanza, quest’ultima, che non stupisce dal momento che la vera patologia non sta tanto nel viaggio di ritorno quanto in quella di andata, cioè – fuor di metafora – quando il magistrato decide di entrare in politica, spesso cavalcando l’onda mediatica di inchieste clamorose molte volte finite nel nulla. Ma forse ha ragione Schifani a definire «molto sensata» la proposta di Legnini di ridare ai magistrati usciti dall’esperienza politica un ruolo diverso da quello che ricoprivano: «Va nella direzione dell’indipendenza della giustizia», ha commentato. Già, chi si contenta, gode.