Immigrati, non è vero che sono una risorsa: ecco perché dati alla mano

26 Lug 2017 18:56 - di Enea Franza

Il problema dell’immigrazione in Italia di giovani uomini e donne in età lavorativa e con alto tasso di fertilità, bassa propensione al risparmio ed alta mobilità sul territorio, pone un problema importante non solo alla politica, che si trova a gestire con immediatezza il problema dell’eventuale accoglienza o del rimpatrio, ma agli economisti, che sono chiamati a definirne il costo, non solo in termini d’impatto sulle finanze pubbliche, ma sul mercato del lavoro. 

L’idea, infatti, che l’ingresso nel nostro Paese di migliaia d’emigranti sia “una manna dal cielo” per le nostre imprese, deve fare i conti almeno con i costi che sono caricati allo Stato per l’accoglienza e per l’impatto sul carico delle spese di ordine pubblico che il continuo flusso e la permanenza (anche solo temporanea) dei nuovi arrivati pone. Inoltre, per il nostro Paese che molto si gioca nella competizione internazionale puntando su “bellezza ed innovazione”, la mancata soluzione della questione immigrazione determina un danno enorme, intuibile anche se non facilmente quantificabile, ma certamente altrettanto concreto.

Ma andiamo con ordine. I costi in termini di assistenza diretta, per la prima accoglienza sono di non facile determinazione. In primo luogo va contabilizzato il costo del presidio delle coste, che vanno dal monitoraggio al soccorso in mare e comprendono, quindi, le operazioni di identificazione e trasporto a terra. Tanto per farsene un’idea, l’“operazione Mare nostrum”, iniziata il 1° novembre 2014 che prevedeva contributi volontari da 15 su 28 Stati membri dell’Ue, fu abbandonata proprio perché giudicata troppo costosa per un singolo Stato dell’UE, arrivando a costare fino a 9.000.000 Euro al mese per 12 mesi ( ed i programmi successivi, Triton e via correndo, non sono stati meno cari).

C’è poi il costo connesso all’ospitalità del migrante, che sono valutate, in media, intorno ai 35 Euro pro capite pro-die. Tuttavia, si devono evidenziare forti variazioni da regione a regione, secondo il costo della vita locale e l’affitto delle strutture; senz’altro, a tale fiume di denaro andrebbe sommato quello che arriva dalle associazioni benefiche e religiose dirottato, dagli interventi ordinari, verso tale priorità. In particolare questo ultimo aspetto, determina una percezione diffusa di una minore assistenza pubblica e quindi ne aumenta il bisogno.

Ricordiamo, per inciso, che il denaro destinato alla prima accoglienza dei migranti finisce, per lo più, a società, generalmente costituite in forma cooperativa e collegate – come l’indagine Mafia Capitale ha evidenziato – a gruppi d’interesse variamente connessi con la politica, le organizzazioni non governative e/o le associazioni religiose.

Le cooperative coprono le spese per il vitto, l’alloggio, la pulizia dello stabile e la manutenzione. Di questo denaro, circa 2,5 euro in media – il cosiddetto pocket money – è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane (dalle ricariche telefoniche, per chiamare i parenti lontani, alle sigarette, alle piccole necessità come comprarsi una bottiglia d’acqua o un caffè). Il contributo per i minori non accompagnati è, invece, maggiore. Tra i migranti che arrivano Italia ci sono molti ragazzi, di età media tra i 12 e i 17 anni, provenienti per la maggior parte dall’Afghanistan, dal Nord Africa e dal Niger, anche se continua l’afflusso dalla Siria.

Gli immigrati presenti nelle strutture d’accoglienza (temporanee, centri d’accoglienza e per richiedenti asilo, posti Sprar) sono attualmente circa 100.000. In definitiva si tratta, stando ai dati che circolano, di circa 3.500.000 di Euro al giorno, ovvero, sommando il complesso dei costi di presidio, oltre 100.000.000 di Euro al mese.

Più complesso il discorso del costo degli immigrati che decidono di insediarsi stabilmente sul territorio. I dati dell’Istat, confermano che cittadini stranieri residenti in Italia già nel 2013 erano più di 4 milioni e 300mila, overo, circa il 7,4% dell’intera popolazione residente sul territorio nazionale. Negli ultimi anni i residenti sono comunque aumentati. L’idea, dunque, che l’Italia sia un paese di transito, non è del tutto vera, ma al contrario, sono parecchi quelli che si fermano in modo stabile sul nostro territorio. Peraltro, a sfatare il preconcetto che a stanziarsi in Italia siano cittadini Ue. che hanno profittato dell’adesione all’Ue (in prevalenza rumeni), c’è il dato statistico che dimostra che oltre l’85% dei cittadini stranieri residenti in Italia nel 2013 proviene da un paese non comunitari. Di tale numero, possiedono un normale permesso di soggiorno più di un 1 milione e 700mila, mentre, coloro che risiedono in maniera stabile e continuativa, classificati come soggiornanti di lungo periodo, sono oltre due milioni.

I citati dati dell’Istat segnalano una stabilizzazione del fenomeno migratorio, la crescita dell’incidenza dei minori sul complesso della popolazione straniera (pari al 23,2% nel 2011) ed l’aumento del numero di acquisizioni di cittadinanza italiana da parte degli stranieri. L’incremento si registra per residenza o matrimonio, ma crescono anche i minori che acquistano la cittadinanza italiana per trasmissione dai genitori della cittadinanza e coloro che, nati nel nostro paese da genitori stranieri, richiedono la cittadinanza italiana. La popolazione straniera è mediamente più giovane rispetto a quella italiana e maggiormente concentrata nelle fasce di età (15- 64 anni) che caratterizzano la popolazione attiva sul mercato del lavoro, dimostrazione che in Italia si viene anche per lavorare.

La crisi economica che colpisce con particolare forza l’Italia dal 2008, non sembra aver scoraggiato le migrazioni. Il numero di occupati stranieri, nonostante la crisi, è continuato a crescere raggiungendo 2 milioni e 334mila unità nel 2012, con un crescente divario salariale tra lavoratori italiani e stranieri a dimostrazione, a nostro parere, che del lavoro straniero si avvantaggia il capitale. A prova , si segnala che, il numero di cittadini nati all’estero che dichiarano i loro redditi allo Stato italiano è passato da poco più di 2,4 milioni del 2005 agli oltre 3,4 milioni del 2011, parallelamente il reddito totale dichiarato è passato dai 30,4 milioni di euro del 2005 ai 43,6 milioni di euro nel 2011. Il totale dell’imposta netta pagata dai contribuenti nati all’estero ha rappresentato nel 2011 il 4,1% del gettito fiscale complessivo nazionale.

Tenendo conto degli studi realizzati sino ad oggi per valutare i rapporti di dare e avere tra immigrati e finanza pubblica, si segnala che nel 2011, le erogazioni complessive destinate ai cittadini stranieri ammontano ad oltre 15 miliardi di euro. In particolare, la categoria di spesa sulla quale la popolazione non italiana incide di più, è quella per le carceri dove gli stranieri rappresentano il 36,14% dei detenuti.

Per le altre voci di spesa, Il conto non è semplicissimo e questo spiega le varie e contrastanti conclusioni cui giungono gli economisti. Si può stimare che per istruzione, sanità, carceri, pensioni e protezione sociale destinata alla popolazione straniera la parte di spesa riconducibile ai cittadini non italiani non supera mai il 15% del totale, con una punta di minore incidenza dei cittadini stranieri nella spesa per le pensioni.

In questo caso, infatti, soltanto lo 0,52% delle uscite totali ha come beneficiari cittadini non italiani. Pur tenendo conto delle difficoltà di un’analisi di tale tipo – va verificata, infatti, l’incidenza sulla spesa totale, tenendo conto delle differenze anagrafiche rispetto agli autoctoni e del differente ricorso ad alcuni servizi e prestazioni tra le due popolazioni – si può sostenere che i residenti stranieri non costano più degli italiani ed il bilancio tra entrate ed uscite è prossima al pareggio.

Nella sostanza allora, dal punto di vista dell’ economista, due sono gli aspetti da affrontare per una sana gestione economica e finanziaria dell’immigrazione: uno connesso allo squilibrio strutturale che la mano d’opera aggiuntiva determina sul mercato del lavoro e, quindi, su una diminuzione del livello medio di salario, l’altro connesso, invece, al costo della gestione dell’ordine pubblico connesso alla repressione della delinquenza organizzata, che gestita generalmente da italiani utilizza in modo massiccio la manovalanza d’immigrazione.

Sotto questo profilo, il conto è certamente deficitario. La situazione esplosiva delle carceri e la percezione giusta o sbagliata che la delinquenza comune sia da attribuire prevalentemente alla presenza di migranti, ha un costo certo in una maggiore domanda di ordine pubblico e, un ulteriore impatto certo sugli investimenti, nel senso di scoraggiare l’intrapresa e di amplificare i costi di sicurezza.

È  certo, quindi, che per chiunque governa o si troverà a governare il Paese, non basterà battere i pugni sul tavolo a Bruxelles ma, come i francesi di Macron ci hanno dimostrato, dovrà puntare su una politica estera coraggiosa, e tessere rapporti diretti con tutti i nuovi protagonisti della scena Nord africana e sub sahariana , considerando che una nuova e moderna guerra si sta svolgendo tra i partner della Ue proprio sul terreno dell’immigrazione.

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