Asili nido “sfrattati”: nei locali delle parrocchie ora si aspettano i profughi
Nella sola zona di Gregorio VII, nel quartiere Aurelio di Roma, si parla di due asili e un teatro. Sono i servizi che cesseranno di esistere perché il Vicariato ha chiesto indietro i locali a chi li gestiva. La voce del vicinato e l’ammissione a mezza bocca degli stessi imprenditori “sfrattati” è che quegli spazi saranno usati per l’accoglienza dei profughi. Il Vicariato, contattato, non conferma e non smentisce, perché il responsabile non c’è e la persona che risponde spiega di non essere autorizzata a parlarne.
L’asilo sfrattato dava lavoro a una decina di persone
«È nella facoltà del Vicariato chiederci indietro i locali. Ci avevano dato tempo fino al 2018, ma noi non è che a metà del prossimo anno scolastico possiamo dire alle mamme “scusate, ora dobbiamo spostarci tutti” e poi comunque abbiamo bisogno di tempo per riorganizzarci», spiega uno dei titolari, che non spende una parola né contro il Vicariato né contro gli eventuali profughi che arriveranno e che, anzi, cerca di smorzare i toni. «Certo – si limita a dire – spiace, dopo tanti anni… E poi da questa struttura usciva pure uno dei nostri stipendi. Per fortuna, non abbiamo solo questo e io poi nelle altre strutture faccio di tutto, dal giardinaggio all’accoglienza». L’asilo è stato messo su da una famiglia che nel tempo è riuscita ad aprire anche altri nidi, restando però in una dimensione di impresa a gestione familiare in cui tutti si danno da fare. L’asilo in questione dava lavoro a una decina di persone tra maestre fisse, maestre saltuarie e maestri delle attività integrative, oltre naturalmente al reddito dei titolari. Le famiglie servite a prezzi un po’ calmierati, probabilmente proprio perché i locali erano in affitto nella chiesa, erano tra le 20 e le 30 a seconda degli anni. La chiusura pone un problema di occupazione e di impoverimento dei servizi del territorio che, se – come sembra – dovesse essere spalmato a livello cittadino, all’inizio del prossimo anno scolastico provocherà un grave disagio sociale. Il clima che si respira è di grande sconforto.
Non è un caso isolato
Quella di questo asilo che chiude sembrava una vicenda isolata, invece è bastato intavolare l’argomento con qualche abitante del quartiere per scoprire che la stessa sorte tocca ad altre strutture. È bastato poi un post su Facebook per scoperchiare un vaso di Pandora a livello nazionale. Da Todi un dirigente di CasaPound Italia, Cristiano Coccanari, rivela che «in città la diocesi sta, dove possibile, riscattando tutti i propri locali, compreso un cinema al centro». Anche lì si parla di una volontà di utilizzare quegli spazi per i piani Sprar (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati) o per i piani prefettizi per l’accoglienza. E il sospetto è che più delle ragioni di carattere etico, possano le ragioni di carattere economico: l’accoglienza rende più dell’affitto a una qualsiasi attività imprenditoriale o di servizio come un asilo o un cinema. Insomma, detta brutalmente, il sospetto è che anche la diocesi sia caduta nella tentazione di «fare cassa in un momento propizio».
Onlus per i profughi al posto dei negozi
Lo stesso spirito si intravede anche dietro la scelta di molti privati, che aspettano “il momento propizio” per sbarazzarsi dei vecchi inquilini e affittare a Onlus che poi in quei locali piazzeranno immigrati. In condizioni, pare di capire, non sempre adeguate. Anche in questo caso è bastato il post su Facebook sull’asilo che chiude per suscitare uno sfogo spontaneo. «Qua i negozi chiudono e al loro posto spuntano Onlus una dietro l’altra: alzano muri in cartongesso e creano stanze», spiega una avvocatessa della provincia di Caserta, E. C., chiarendo che se prima c’era una certa tolleranza verso i ritardi nel pagamento degli affitti «ora basta un mese e partono gli sfratti». Così, per esempio, al posto di un negozio di scarpe spunta un improvvisato mini-centro di accoglienza. «D’altra parte – commenta l’avvocato – i negozi pagavano 500 euro d’affitto al mese, questi pagano 1300. È chiaro che i giochi sono chiusi così».