Putin snobba la Rivoluzione del 1917. Nessuna celebrazione per i 100 anni
L’ultima celebrazione a suscitare un interesse politico fu quella del 1987, settantesimo anniversario della Rivoluzione bolscevica. Al Cremlino c’era Mikhail Gorbaciov, l’uomo della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (ristrutturazione). Tentò di riformare l’Urss quando la patria del comunismo mondiale era già un cadavere in avanzato stato di putrefazione. Il suo appello a cercare nella Rivoluzione del 1917 le ragioni che settant’anni dopo lo stavano spingendo ad imboccare la strada del cambiamento cadde perciò nel vuoto. Con la sua operazione, Gorbaciov tentò di ammazzare Stalin per far tornare a splendere il mito di Lenin. Ma fu tutto inutile: di lì a poco l’Urss si sarebbe accartocciata sotto il peso dei suoi tremendi e cruenti fallimenti e della rivoluzione che l’aveva prodotta restarono solo le celebrazioni, sempre meno ideologiche e sempre più patriottiche. Non stupisce, dunque, se a cento anni esatti da quegli eventi che sconvolsero il mondo, Vladimir Putin abbia deciso che la Rivoluzione d’Ottobre (che in Russia si festeggia il 7 novembre per effetto del calendario giuliano) non meriti più i fasti, le parate e le fanfare di un tempo. Non ci arriva per caso, Putin, ma sulla scorta di un percorso lucido e coerente finalizzato a pacificazione il popolo russo, la cui memoria collettiva è ancora lacerata dagli eventi di quel tragico frangente della storia: la violenta morte dei Romanov, la dinastia regnante, la rivolta dei contadini, gli atroci massacri compiuti dai bolscevichi. Per circa un secolo, queste pagine nefaste della Rivoluzione sono state coperte dalla propaganda e dall’ideologia. Putin ha ora deciso che è giunta l’ora di sollevare questo ipocrita velo puntando al cuore del problema: Lenin. Non per caso nel museo della Rivoluzione, accanto a un busto di Lenin c’è scritto: «A Mosca la presa del potere da parte dei bolscevichi portò a violente battaglie e a centinaia di vittime». Una frase che rappresenta solo l’anticipo di quell’«analisi profonda, onesta e oggettiva del 1917» invocata da Putin in vista del centenario della presa di potere dei comunisti. L’ambizione del capo del Cremlino è riconsegnare la Russia al ruolo di potenza imperiale che la storia e la geopolitica le hanno assegnato e che proprio la rivoluzione di Lenin aveva cancellato, salvo surrogarlo con quella di epicentro ideologico-militare. Ecco perché alle parate sulla Piazza Rossa, Putin preferisce tavole rotonde nelle università. Le uniche celebrazioni alle quali non rinuncerebbe mai sono quelle che rievocano la guerra contro il nazismo. Combattuta e vinta da Stalin non in nome del comunismo, ma in quello della Grande Madre russa. A conferma che, nei momenti decisivi, a mobilitare il popolo non è l’ideologia ma i suoi più profondi e radicati sentimenti.