L’avvocato di Carminati: «Lo volevano morto per addossargli la strage di Bologna»
Dal processo su Mafia Capitale emerge un dettaglio inedito, per certi versi clamoroso, sul primo arresto di Massimo Carminati. A rivelarlo è stato l’avvocato difensore Giosuè Bruno Naso, smentendo le ricostruzioni fatte finora su cosa avvenne quel 21 aprile del 1981, compresa quella dello stesso Carminati. Si tratta di una ricostruzione che, insieme alle dichiarazioni rese lunedì da Abu Sharif davanti alla Commissione parlamentare sulla morte di Aldo Moro, potenzialmente rimette in discussione anche l’impianto accusatorio che ha portato alla verità giudiziaria sulla strage di Bologna, stabilita con le sentenze passate in giudicato nei confronti di Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini.
«Era sceso con le braccia alzate, lo volevano morto»
«Massimo Carminati non porta una benda per apparire fascinoso, porta una benda perché gli hanno sparato in faccia, a bruciapelo. Non è vero che gli si sparò in macchina, scese con le braccia alzate e gli si sparò in faccia», ha detto Naso nel corso della sua arringa al maxiprocesso sulla cosiddetta Mafia capitale. «Gli agenti della Digos gli hanno sparato perché Carminati doveva diventare, da morto, l’autore della strage di Bologna. Questa è la verità. Se volete cercare rapporti equivoci con le istituzioni cercate in quella direzione», ha sottolineato Naso, offrendo una ricostruzione diversa da quella che lo stesso Carminati aveva reso al processo durante le sue dichiarazioni di marzo. Finora si era creduto che Carminati fosse stato colpito mentre si trovava in macchina. «Sono stato ferito in un appostamento della Digos. Ci hanno sparato come cani, sulla macchina sono stati trovati 145 colpi. Ci hanno sparato e basta, io ero dietro in macchina, non sono neanche sceso», aveva detto l’ex Nar, parlando del suo primo arresto avvenuto a Gaggiolo, confine tra Lombardia e Svizzera, quando ventitreenne perse l’occhio sinistro. «Erano le regole d’ingaggio di quei tempi. Non mi sono neanche costituito parte civile», aggiunse.
Colpevoli di comodo per la strage di Bologna
Come è noto, al termine di una vicenda giudiziaria estremamente complessa e, ancor di più, controversa, gli autori della strage di Bologna sono stati individuati in altri ex Nar, anche loro, in fin dei conti, potenziali “colpevoli di comodo”: su Mambro, Fioravanti e poi Ciavardini già pendevano le condanne per diversi omicidi, si trattava comunque di “carne da ergastolo”. Ma, nonostante le condanne, le sentenze non sono mai riuscite a fugare i dubbi sulla colpevolezza dei tre e il sospetto che si trattasse di un modo per risolvere a tutti i costi il caso della più grave strage italiana del dopoguerra. Fra le diverse piste investigate, quella considerata più accreditata era la cosiddetta pista palestinese, ovvero che la strage fosse la reazione alla rottura del Lodo Moro, un patto segreto tra Italia e terrorismo palestinese per mettere al riparo il nostro Paese dagli attentati, di cui parlò per la prima volta l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. La strage, in sintesi, sarebbe stata una rappresaglia per la rottura di quel patto da parte italiana.
Le rivelazioni sul Lodo Moro
In tempi recenti, la procura di Bologna ha percorso anche questa pista, arrivando però a una archiviazione motivata dal fatto che l’esistenza del Lodo Moro non avrebbe trovato «alcuna conferma precisa» né nelle indagini, né negli archivi, nelle nelle testimonianze. A distanza di qualche anno, però, lo scenario è cambiato: dopo la desecretazione di alcuni atti da parte del governo Renzi, è emerso un documento scritto che confermerebbe l’esistenza del Lodo Moro; a gennaio di quest’anno il capo della polizia, già capo del Sisde e dell’Aisi, Franco Gabrielli, in una intervista ha parlato del Lodo Moro come di un fatto storico acquisito; lo stesso ha fatto lunedì davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Moro anche una fonte palestinese, ovvero quel Bassam Abu Sharif che fu membro del Fronte popolare per la liberazione della Palestina e consulente di Arafat.
La pista nera e i depistaggi
Infine ora giunge questa rivelazione di Naso, secondo il quale a Massimo Carminati fu deliberatamente sparato per colpirlo a morte perché doveva «diventare, da morto, l’autore della strage di Bologna». Un elemento che, sommato agli altri, riapre tutti gli interrogativi rimasti senza risposta sulla strage del 2 agosto 1980. «Se volete cercare rapporti equivoci con le istituzioni cercate in quella direzione», ha detto ancora Naso. E non si può non pensare al fatto che per la strage di Bologna l’unica pista perseguita con vera ostinazione sia stata quella “nera”, quella indicata dai depistaggi della prima ora per i quali lo stesso Cossiga chiese scusa.