Furti e rapine ma niente galera: ecco che cosa non funziona

3 Giu 2017 12:06 - di Redazione

Furti e rapine restano impuniti. Un orribile caso di cronaca nera, la morte delle tre sorelle rom bruciate vive in un camper di Centocelle, torna a farci interrogare sul sistema giudiziario italiano. Uno dei presunti autori della strage, il bosniaco Serif Seferovic arrestato a Torino giovedì, come si legge su Repubblica, non più tardi del febbraio scorso era stato condannato a due anni di carcere per lo scippo della studentessa cinese Yao Zhang, conclusosi nel peggiore dei modi: la ragazza investita da un treno mentre cercava di recuperare la borsetta. Serif Seferovic si è fatto ventuno giorni di carcere, poi è tornato in libertà. Perché accade questo? E perché accade troppe volte, dalla rom col record dei borseggi a chi investe e poi è subito libero?

Furti e rapine ecco chi non va in galera

Sembra il fallimento di un intero sistema,  si legge ancora su Repubblica, che prima acciuffa il ladro e poi subito lo libera, ma in realtà lo prevede la legge per chi è incensurato. Dire però che in Italia i ladri non pagano mai è una semplificazione: attualmente 11.585 detenuti in carcere per furto (di cui 606 donne) e i 16.242 detenuti per rapina (tra cui 523 donne). È vero, invece, si legge ancora su Repubblica, che se si è al primo borseggio è praticamente impossibile finire dietro le sbarre. La pena base per il furto aggravato va da uno a sei anni (fino a dieci anni se commesso in appartamento), ma qualsiasi avvocato col minimo sforzo riesce a evitare all’imputato la prigione. Al processo per direttissima, tra attenuanti generiche (ad esempio, la confessione e la riconsegna del bottino) e la scelta del rito abbreviato che riduce di un terzo la pena, il giudice raramente emette condanne superiori a un anno, si arriva a due nei casi particolari come quello di Seferovic. «Del resto la sospensione condizionale della pena per due anni è un diritto», dice Roberto Trinchero presidente delle Camere penali del Piemonte occidentale e Valle D’Aosta a Repubblica . «Quando invece si è recidivi, il discorso cambia».

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