Eutanasia, un ex “angelo della morte”: «Mi chiesi, che sto facendo?» (video)
7 Giu 2017 13:08 - di Eleonora Guerra
L’aspetto umano e l’aspetto tecnico. Entrambi nella legge sul “fine vita” presentano delle criticità, che rendono il testo in discussione al Senato inadeguato, se non inaccettabile. Così la vede l’associazione ProVita onlus, che è tornata su un argomento da tempo al centro delle proprie battaglie.
Contro il rischio di «dimenticare una parte della verità»
«C’è sempre il rischio di dimenticare una parte della verità quando si guardano le cose da un solo punto di vista», ha spiegato l’associazione, che per questo motivo ha promosso un incontro alla Stampa Estera in cui ha presentato la testimonianza di un’ex infermiera, divenuta negli anni un “angelo della morte”, e di un proprio esperto legale. «Non è giusto togliere la vita a un essere umano. Ci sono altri modi per affrontare il dolore che non siano sopprimere e togliersi il pensiero», è stata la conclusione cui è arrivata l’infermiera Kristina Hodgetts, dopo anni passati a impartire la “buona morte”.
«Che cosa stiamo facendo?»
Per Hodgetts e i suoi colleghi togliere la vita ai più fragili e sofferenti «era diventata normale amministrazione. Avevamo perso il senso del nostro lavoro». Finché, un giorno, l’attaccamento alla vita di una anziana per la quale era stata decisa la fine non spinse una giovane infermiera a chiedersi «che cosa stiamo facendo?». Per Hodgetts fu come un risveglio, che la portò a ripensare quel compito che fino ad allora aveva svolto con diligenza e «buona fede», certa che fosse un atto compassionevole. Un risveglio divenuto totale quando in coma ci finì lei e, se non fosse stato per il marito, «mi avrebbero uccisa». La donna, però, non solo non fu uccisa, ma si svegliò dal coma e da allora porta avanti la sua «missione di racconto» nella Coalizione per la prevenzione dell’eutanasia.
Quello che non funziona nella legge sul fine vita
Ma la legge in discussione al Senato presenta, per ProVita, anche criticità tecniche. A illustrarle è stato Alessandro Fiore, sottolineando che il disegno dei legge sulle Dat rende «il diritto alla vita un diritto praticamente disponibile». «In più vincola i medici e le strutture sanitarie anche quando le volontà del paziente porterebbero direttamente alla sua morte, quindi anche quando per lo stesso comportamento il medico sarebbe oggi penalmente responsabile. Senza nemmeno prevedere l’obiezione di coscienza», ha sottolineato l’esperto, aggiungendo che «nessuno dei più rilevanti Stati prevede delle “disposizioni anticipate” generalmente vincolanti. Addirittura, persino nei Paesi che hanno introdotto l’eutanasia, come l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, il testamento biologico non vincola il medico».
L’invito di ProVita a riflettere sull’eutanasia
Infine, riflettori accesi su un punto del ddl che viene definito fra i «più gravi»: il fatto che venga «surrettiziamente introdotta una forma di eutanasia omissiva non consenziente per i minori e le persone incapaci». «Se questa legge passasse – ha concluso Fiore – diventerà possibile che il rappresentante e il medico facciano morire di disidratazione un minorenne che non abbia espresso alcuna volontà di morire». Ma prima ancora di tutto questo, per ProVita, è «sbagliato il presupposto fondamentale della legge». «Chi è davvero in grado di sapere in anticipo come reagirebbe di fronte a una malattia grave o a una disabilità?», si domanda il presidente dell’associazione, Toni Brandi. «Firmando le Dat – ha concluso Brandi – si rischia di commettere un errore irreversibile, scontandone le conseguenze soltanto nel momento in cui sarà impossibile fare un passo indietro».