Alitalia, ecco perché è precipitata. Solo errori o anche dolo dei manager?
Dal taglio delle rotte interne, alla carenza di aeromobili a lungo raggio, fino ai costi sproporzionati attribuibili ai carburanti, quelli, immensi, per il leasing dei velivoli, i costi, enormi, sostenuti per la manutenzione della flotta, quelli imputabili al sistema di prenotazione e vendita dei biglietti e quelli per il personale con il seguito, dolente, degli esuberi. Eccoli i motivi per cui Alitalia, alla fine, è precipitata.
I manager della Compagnia, affidata ora alle cure dei tre commissari governativi, Gubitosi, Laghi e Paleari, hanno operato testardamente, nel corso di questi anni, una lunga serie di scelte industriali, economiche e finanziarie, totalmente sbagliate che si sono, poi, rivelate anche tristemente fatali.
E’ un lungo documento, realizzato da un consulente aeronautico e pubblicato da Adnkronos, a mettere il dito negli occhi del management che si è avvicendato in questi anni alla cloche della Compagnia di bandiera finita sotto la lente per l’incredibile successione di scelte strategiche sbagliate – solo clamorosi errori? ci si chiede ora da parte dell’opinione pubblica e degli stessi dipendenti – che hanno portato Alitalia sull’orlo della propria tomba.
Iniziamo a dire chi sono i colpevoli. I soci, certo. Ma non solo. Loro hanno avallato prima i manager messi alla guida di Alitalia e poi le loro scelte. Poi, appunto, ci sono gli stessi manager, sia il top management, sia i manager della prima linea. Ma non bisogna dimenticare i sindacati. Anche loro hanno fatto la propria parte tirando la corda quando non era opportuno farlo e pensando di stare ancora in tempi di vacche grasse, quando ancora si spendeva e si spandeva largheggiando. L’altra domanda da farsi è: c’è stata solo incapacità? O c’è stato anche dolo? L’incapacità non si discute, è di tutta evidenza. Il problema, semmai, è che molti di quei manager continuano a essere chiamati a guidare altre aziende con il loro carico di dipendenti e, quindi, di vite umane e destini familiari.
Quanto a un eventuale dolo, i commissari sono chiamati anche a stabilire questo. Faranno le loro valutazioni e poi, nel caso, trasmetteranno le conclusioni, con tutte le conseguenze del caso. Quel che è certo e che salta subito all’occhio senza ombra di dubbio è che i costi sopportati da Alitalia se confrontati con quelli di altre compagnie aeree hanno un gap mostruoso: sono più alti del 30 per cento rispetto a quelli di altre compagnie di bandiera simili ad Alitalia e ben del 60 per cento in più rispetto a quelli di compagnie low cost come Ryanair. E’ questo è un dato di fatto incontrovertibile.
Vediamo ora, caso per caso, quali sono state le scelte strategiche sbagliate e gli errori che hanno mandato a sbattere la Compagnia aerea.
I carburanti.
Tra i principali sospettati delle cause del dissesto, come è noto, spiccano i costi legati al carburante. 700 milioni di euro, stando a quanto emerge dalla composizione dei costi riclassificati della gestione caratteristica di Alitalia, apparsa nell’ultimo bilancio depositato al 31 dicembre del 2015.
Per il carburante, Alitalia avrebbe pagato circa il 20 per cento in più dei valori di mercato di quel tempo.
Costi generati anche da un problema di potenza dei motori di alcuni Airbus A320/216, precisa l’analisi di cui parla Adnkronos.
Nello specifico, nella flotta Alitalia risultano 33 aeromobili A320 equipaggiati con motori CFM56/5B6-3, un modello che solitamente viene montano su un aeromobile più piccolo, ossia sull’A319. Rispetto al motore standard con cui è equipaggiato l’Airbus A320, il motore B6 series ha una spinta inferiore, ossia 23.500 libre contro le 27mila del B4.
Ciò significa che quando il velivolo decolla al massimo peso del decollo, il gradiente di salita tra i due motori è diverso. Tradotto in termini pratici, questi velivoli “depotenziati” raggiungono a pieno carico la quota di crociera ottimale in un lasso di tempo molto maggiore, “pesando”, alla fine, sui costi sopportati dalla compagnia per il carburante. Perché questi aerei montano questi motori? Chi ha deciso du acquistarli e perché? E’ stato valutato, all’epoca, questo “handicap”?
Il costo del leasing degli aerei.
Per il leasing dei propri velivoli, nel 2015, Alitalia ha speso 600 milioni, con un rateo mensile del 15 per cento maggiore rispetto alla media di mercato. Questo fatto è dovuto a condizioni economiche relative alle riserve di manutenzione e alle condizioni di riconsegna “assolutamente spropositate e fuori da ogni logica di mercato”, si legge nell’analisi. Chi ha deciso tutto questo? E sulla base di quale valutazione? C’è materialeper la Corte dei Conti, da questo punto di vista.
Per il noleggio di alcuni aeroplani, Alitalia si serve della formula “Wet Lease” o Acmi, ossia un modello di noleggio che include l’aeromobile, l’equipaggio, la manutenzione del velivolo e la sua assicurazione. Una formula, spiega l’esperto, “assolutamente antieconomica” poiché solitamente viene realizzata per dare la possibilità alle compagnie aeree di far fronte a eventuali avarie di un aeromobile della propria flotta, sostituendolo per un periodo di tempo con un aeromobile operato da un’altra compagnia. Un meccanismo messo in atto per tutelare i diritti del passeggero.
Secondo l’analista, Alitalia usa invece questa formula di noleggio con Etihad regional – la compagnia regionale svizzera Darwin – operando tratte che invece potrebbe operare in proprio con gli Embraer della propria flotta, con notevoli risparmi.
Un esempio? Nel 2013 Alitalia ha pagato un costo orario Acmi pari a 2.200 euro/ ora volo su aeroplani Boeing 737/300 che sul mercato erano disponibili a 1.700euro/ora volo. Perché queste diseconomie?
La manutenzione degli aerei.
Altra principale causa del collasso di Alitalia sembra essere imputabile all’esternalizzazione della manutenzione, una scelta che ha contribuito a far lievitare i costi relativi alla manutenzione dei motori, alla cellula aeromobile, quelli per la manutenzione e la componentistica, ossia le attività che non sono effettuate direttamente sul velivolo e quelle sul motore in officina. “I contratti di manutenzione di Alitalia sono tutti fuori mercato, tutti a danno della compagnia – sottolinea il consulente aeronautico citato da Adnkronos – molto onerosi, sia quelli di leasing sia quelli di manutenzione“.
Quanto alla manutenzione della cellula, i dati sono ancora più inquietanti. Per i velivoli di medio-corto raggio, Alitalia si serve di Atitech, società che fino al 2008 era controllata da Alitalia, poi privatizzata e quindi venduta a seguito del primo fallimento. La nuova Alitalia Cai entrò in Atitech con una partecipazione di minoranza. Per anni Alitalia ha pagato ad Atitech un costo “esorbitante” per la manutenzione della cellula degli aeromobili. 75 euro per ora di lavoro, poi ridotto a 55 euro. Una corretta gestione in house della manutenzione della cellula, specifica l’analisi, non supera invece i 40 euro per ora/lavoro. Per anni, Alitalia ha pagato quindi quasi il doppio dei prezzi di mercato.
Per contenere i costi legati alla manutenzione dei propri motori, ad esempio, sarebbe bastato puntare su Alitalia Maintenance System, l’ex-officina motori di Alitalia, oggi fallita. Se Alitalia riportasse in house la manutenzione primaria dei propri aeromobili, sia la cellula sia il motore, si potrebbero risparmiare circa 120 milioni di euro annui rispetto a costi di manutenzioni sostenuti nel 2015, si legge ancora nel documento. Inoltre, verrebbero re-impiegati migliaia di lavoratori oggi in cassa integrazione.
Il pozzo senza fondo del catering e delle consulenze.
“Spropositati” anche i costi cosiddetti in overhead, ossi i costi indiretti, che ammontano a circa 635 milioni di euro, che includono oneri accessori per il personale per circa 60 milioni di euro, parcelle consulenti per altri 40 milioni di euro, servizi finanziari, assistenza passeggeri e merci per circa 74 milioni di euro, catering passeggeri e altro.
Non c’è dubbio che sia un dato non solo preoccupante ma anche fortemente sospetto quello dei 40 milioni spesi in consulenza di terzi. Su altre voci, come catering o oneri diversi o sui costi per l’assistenza alle merci e ai passeggeri o sulle penalità pagate ad altri vettori, si sfiorano i 190 milioni di euro a carico di Alitalia. Cifre elevatissime che bisognerebbe verificare per capire a cosa si riferiscono.
Hotel, mensa, formazione e vitto per il personale.
Nel solo 2015, per i soli oneri accessori per il personale, Alitalia ha speso 60 milioni di euro. Dati che si riferiscono, ad esempio, agli hotel per gli equipaggi in sosta, per il training del persona, la mensa dipendenti e il vitto rimborsato agli equipaggi in sosta.
Per quanto riguarda la formazione, Alitalia utilizza Etihad tramite la sua scuola Etihad Academy, scuola non riconosciuta Easa, l’agenzia europea per la sicurezza aerea che si occupa del controllo del settore aeronautico dell’Ue.
“Perché si addestrino i piloti cadetti ad Abu Dhabi occorrono per forza i cosiddetti controllori esaminatori certificati Easa – afferma il consulente aeronautico – Si può supporre che Alitalia mandasse i suoi ispettori ad Abu Dhabi, magari pagando anche per i servizi che Etihad forniva, quando tutto questo poteva farsi a Roma. Solo di training Alitalia ha speso 50 milioni, e una parte di questa somma si sarebbe potuta risparmiare”.
Il sistema di prenotazione biglietti imposto da Etihad.
Ben 100 milioni di euro sono imputabili al sistema di prenotazione e vendita dei biglietti. L’ex-compagnia di bandiera ha acquistato di recente un sistema denominato”‘Sabre“, in sostituzione di quello che aveva prima denominato “Arco” per gestire le vendite dei propri biglietti.
Una migrazione obbligata e imposta da Etihad al momento dell’ingresso nel capitale della nuova Alitalia. Implementare il sistema è costato 57 milioni di dollari, più 35 milioni di euro annui, se si considera il numero di passeggeri trasportati da Alitalia nell’anno solare, più la tassa a passeggero pari a 1,45 euro da riconoscere a “Sabre” come prevede il contratto. Una scelta suicida che ha affogato, ancora di più, l’ex-compagnia di bandiera italiana.