Quella volta che Pino Romualdi fu messo al muro dai partigiani rossi

21 Mag 2017 17:36 - di Antonio Pannullo

Aldo Giorleo, trafelato, entrò in redazione con un lancio di agenzia in mano dicendoci: “E’ morto!”. C’era Almirante ricoverato in gravi condizioni in un a clinica romana e noi tutti ci aspettavamo da un momento all’altro la notizia. “E’ morto Almirante?”, chiedemmo. E lui: “No, Romualdi!” Non ce lo aspettavamo, pochi sapevano che stesse male, e la nostra attenzione era concentrata su Almirante, che poi morì la mattina del giorno dopo, il 22 maggio. Sotto la guida esperta del direttore Giorleo, ex paracadutista della Rsi e giornalista di lungo corso, riuscimmo a confezionare in pochissimo tempo un giornale adeguato a quei gravissimi momenti. Romualdi era in quel momento direttore politico del quotidiano del Msi, e fu proprio lui che aveva ricevuto tre mesi prima Stefano Mensurati e il sottoscritto, assunti da Almirante il 1° marzo. Occhiali scuri, vestito beige, Romualdi ci ricevette nell’ufficio del direttore in via Milano, storica sede del Secolo d’Italia. Ci disse poche parole di circostanza, col suo accento romagnolo, e ci spedì a lavorare. Noi non proferimmo parola, giovani praticanti senza esperienza che avremmo potuto dire di fronte a un mostro sacro come lui? Ci metteva addirittura più soggezione dello stesso Almirante. Nelle settimane successive pian piano, nel corso delle riunioni di redazione allargate, raccontò qualche fatto della sua vita e della guerra, illustrava la sua posizione politica, la sua dottrina, ma per le questioni del giornale dava istruzioni solo a Giorleo il quale poi le comunicava a noi.

Romualdi scampò alla morte solo per un caso fortuito

Di Nettuno (così si chiamava) “Pino” Romualdi, di cui oggi corre il 29° anniversario della morte, è stato scritto moltissimo, soprattutto sul Secolo d’Italia. Protagonista durante il fascismo, durante la Repubblica Sociale Italiana, e nel dopoguerra con il Movimento Sociale Italiano, di cui fu uno dei fondatori. Combattente prima nella Guerra d’Etiopia poi nella Seconda Guerra Mondiale nei Balcani, aderì alla Rsi divenendo vice segretario del Partito. Romualdi però è sopravvissuto alla guerra per oltre 40 anni per un capriccio del destino. Come si ricorderà , dopo il 25 aprile 1945 a Como si erano concentrati politici e militari fascisti, mentre i partigiani organizzavano dei blocchi per catturare sia Mussolini sia gli alti esponenti fascisti. Il Cln raggiunse un accordo con Vittorio Mussolini, Vanni Teodorani e gli inviati di  Romualdi , in quel momento la massima autorità dell’Rsi presente a Como. Secondo l’accordo, il 27 aprile le forze fasciste avrebbero abbandonato Como munite di un salvacondotto per arrivare sopra Argenio, dove si sarebbero arrese agli alleati. Così la colonna partì. Nella prima auto c’era Romualdi, nelle altre i vari federali, i militi della Muti, della Decima, delle Brigate nere e della ausiliarie. Ma a Moltrasio e Cernobbio la colonna venne circondata da partigiani armati, che non sapevano nulla dell’accordo, e alla fine disarmano i fascisti. Romualdi, Teodorani e pochi altri riescono a proseguire ma a Cadenabbia vengono nuovamente fermati dai partigiani di Giustizia e Libertà. Quasi alla stessa ora, le 13,30, non molto lontano, Mussolini e i suoi venivano arrestati dalla 52a brigata partigiana del garibaldini. Tra loro, nel gruppo di Romualdi, c’era anche un agente dei servizi segreti americani, ma i partigiani trattennero tutti perché avevamo riconosciuto tra loro il colonnello Franco Colombo, il comandante della Legione Muti. Immediatamente Colombo, Romualdi e gli altri vengono messi al muro; si sta per fucilarli, senza processo, come in quei giorni è accaduto ovunque. Sono attimi di confusione, di concitazione, non si sa chi debba dare gli ordini. Poi, per un caso più della sorte che del ragionamento, Romualdi e Teodorani, che avevano il salvacondotto, vengono lasciati rientrare a Como, mentre per Colombo non c’è nessuna pietà, viene fucilato sul posto. Tornati a Como, apprendono dell’arresto di Mussolini. Romualdi riesce a darsi alla macchia e starà parecchi mesi latitante, adottando il cognome della moglie, Versari, e riuscendo a sfuggire alle ricerche. Malgrado questo, riuscirà a organizzare i fascisti dispersi, a organizzarli, e persino ad avere contatti con esponenti democristiani, comunisti e personalità vaticane.

L’amnistia Togliatti giovò soprattutto ai partigiani

Si è detto e scritto che fu lui a strappare a Togliatti la famosa amnistia, in cambio di voti fascisti al referendum del 2 giugno, ma non è esatto. I fascisti, ammesso che abbiano votato, avrebbero votato in ogni caso per la repubblica e non per esponenti di una monarchia che era fuggita a gambe levate. I contatti di Romualdi con gli antifascisti vennero dopo il 2 giugno, e riguardavano l’eventuale adesione di una parte dei combattenti fascisti al Pci, ma non per qualche scambio di voti, bensì perché molti fascisti ritenevano che la rivoluzione si potesse fare solo coi comunisti e non con la Democrazia Cristiana. Tra questi Stanis Ruinas e Giorgio Pini, riuniti con altri camerati intorno alla rivista Il Pensiero Nazionale, che ebbero colloqui anche con Pajetta e Longo. Romualdi, dopo averci pensato, probabilmente rifletté che l’unico dovere che avevano i fascisti era quello verso loro stessi, e non favorire i monarchici o i comunisti o i democristiani, come lui stesso dichiarò: “facemmo pesare la nostra situazione, la nostra presenza, i nostri intendimenti a tutti gli esponenti politici grandi e piccoli, dell’una o dell’altra parte, con cui ci capitò di parlare”. Non si dimentichi che in quel periodo Romualdi era ancora latitante, cosa che non gli impedì, insieme ad Almirante e altri, di organizzare azioni e gruppi fascisti che certamente preoccupavano lo Stato. Lui stesso raccontò che i fascisti erano dispersi e poco armati, ma che riuscirono – e questo forse fu il suo capolavoro – a ostentare una potenza che in realtà non c’era, con azioni varie e numerosissimi opuscoli e giornaletti di propaganda che provenivano da una antiquata apparecchiatura tipografica sita in camera sua. Quanto poi all’amnistia Togliatti, non sappiamo quanta parte ebbe Romualdi, perché è noto che Togliatti era un pragmatico, e oltre a risolvere il problema delle decine di migliaia di fascisti incarcerati, che avrebbe paralizzato l’attività giudiziaria per anni, l’amnistia beneficava anche e soprattutto i partigiani che si erano resi colpevoli di numerosissimi reati. L’amnistia scattò il 22 giugno 1946, e nel decreto legislativo luogotenenziale del settembre successivo si stabiliva, all’articolo 1, che “non può essere emesso un mandato di cattura, e se è stato emesso deve essere revocato, nei confronti di partigiani, dei patrioti e (degli altri cittadini che li abbiano aiutati) per i fatti da costoro commessi durante l’occupazione nazifascista e successivamente sino al 31 luglio 1945”. Il resto della vita di Romualdi è storia nota: basti ricordare che non cedette mai al nostalgismo, invitando i giovani a vivere sempre il proprio tempo, e qualche volta fu in contrasto con Almirante, come ad esempio sulla pena di morte, sul divorzio, o sulla raccolta di firme che fece insieme con i radicali per il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Vogliamo infine ricordare che per decenni ha abitato con l’adorata moglie vera nel quartiere romano della Balduina, alla cui sezione del Msi era iscritto orgogliosamente.

(Nella foto, a sinistra Romualdi a Milano parla con Franco Petronio e Tomaso Staiti di Cuddia, due “romualdiani di ferro. Al centro, Romualdi con Ezra Pound a un convegno a cui partecipava anche Oswald Mosley. A destra, un suo libro scritto in carcere)

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *