Perché le navi delle ong spengono i trasponder? Che cosa nascondono?

4 Mag 2017 16:46 - di Antonio Pannullo

“Potete mandarli… noi siamo qui davanti…”: è il testo di una telefonata intercettata tra un trasmettitore sulla costa libica e una nave al largo della Libia. Adesso la chiesa, il mondo del volontariato e naturalmente la sinistra fanno quadrato intorno alle navi delle ong (Organizzazione non governativa) che “salvano” i clandestini che a centinaia di migliaia invadono il nostro Paese, ma la verità sta emergendo, e le cose stanno proprio come la destra aveva denunciato sin dal primo momento: Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega, a cui ultimamente si sono accodati anche i grillini, avevano denunziato in tempi non sospetti che dietro “l’accoglienza”, la carità pelosa delle ong si nascondeva un gigantesco business che ha tutte le caratteristiche della tratta degli schiavi. Dicono le anime belle dell’accoglienza a tutti costi che non ci sono prove che “non ci sono prove” di questo, che lo fanno tutte per gentilezza d’animo, per carità cristiana: ma chi ha 400mila euro al mese per compiere buone azioni non retribuite? Vediamo come stanno davvero le cose. Il trasponder è sostanzialmente un trasmettitore, che invia un segnale continuamente. Serve a identificare un natante o un velivolo, la sua posizione e altre informazioni. Tutte le navi le hanno, e servono soprattutto per la sicurezza: in caso di naufragio, incendio, attacco di pirati o quant’altro; sono insomma una garanzia per il natante stesso. Sono tornati di attualità recentemente perché è emerso che i dirottatori dell’11 settembre li spensero per non essere identificati e localizzati. Ora, da quanto emerso dalle indagini della procura di Catania, le navi delle ong spengono i trasponder: perché, cosa hanno da nascondere? Quali attività esercitano tanto da non voler essere identificate e localizzate?

Così le ong violano la Convenzione del mare

Una risposta – la più benevola – potrebbe essere relativa alla violazione della Convenzione sul Mare e degli altri trattati internazionali. Secondo questi trattati, infatti, chi raccolga naufraghi in mare è obbligato a portarli al porto sicuro più vicino, che in questo caso è Tripoli. Non li vogliono portare a Tripoli, perché “scappano dalla guerra (che non c’è)”? Va bene, allora li devono portare a Zarzis, in Tunisia, che dista 90 miglia marine dal punto in cui le navi delle ong raccolgono i clandestini. Altra alternativa sarebbe Malta, che come è noto è prima della Sicilia, ed è lontana 150 miglia marine, e guarda caso è proprio di strada per chi dalla Libia vada in Sicilia. No, li portano in Sicilia, che dista ben 250 miglia marine, contro ogni logica economica e pratica. Perché? Perché violano la legge del mare andando a prendere a domicilio i clandestini per portarli proprio da noi? A voler essere fiscali, anche le nostre navi militari fanno lo stesso, incomprensibilmente. E a voler essere ancora più fiscali, sia ong sia Marina militare violano un’altra legge, quella secondo cui non si può entrare in Italia senza documenti. Provate voi a entrare in qualsiasi nazione del mondo senza documenti. Ah, ma sono naufraghi, ci risponderebbero. Ma si possono definire naufraghi persone che pagano un passaggio in gommone, si accordano con i trafficanti, telefonano alla Guardia costiera o alle navi delle generose ong poche miglia dopo essere partiti e si fanno scientemente e volontariamente raccogliere sapendo di essere portati dove vogliono andare, ossia non in Libia, non in Tunisia, non a Malta, ma in Italia, Paese del Bengodi dove tutto è permesso e dove ti danno pure i soldi e le sigarette?

Gli scafisti hanno sbarcato i clandestini su una nave ong

Ma andiamo avanti. In due rapporti di Frontex, l’agenzia della Ue delle frontiere esterne, si legge che i clandestini irregolari prima di partire ricevono chiare indicazioni sulla rotta da seguire per raggiungere le onnipresenti imbarcazioni delle ong. Le quali, tra l’altro, dispongono di fari potentissimi per potersi far vedere e raggiungere in mare aperto dalle imbarcazioni dei clandestini. Sempre Frontex denuncia che, almeno in un caso, le reti criminali avrebbero trasportato i clandestini direttamente sulle navi delle ong. Purtroppo Frontex non fa il nome di questa nobile ong. Andiamo ancora aventi: negli ultimi mesi si è notato un aumento di piccole ong dedite al “salvataggio” dei clandestini paganti. Piccole, ma con alle spalle capitali significativi. E precisamente da settembre-ottobre 2016 si è registrato un proliferare di navi delle ong, che hanno iniziato a fare il lavoro che prima facevano gli scafisti, ossia accompagnare in Italia i barconi carichi di clandestini. E la domanda che tutti si fanno è la seguente: come fanno queste ong ad affrontare costi elevatissimi senza un ritorno economico (almeno ufficialmente)? A parte che molte di queste navi dell’ong battono bandiere di comodo, come Panama, Belize, Isole Marshall e quant’altro, si calcola che il costo giornaliero di una di queste navi è di oltre 11mila euro al giorno, mentre per navi di dimensioni inferiori bastano 40mila euro al mese. Alcune di queste ong dispongono anche di costosissimi e sofisticatissimi droni, in grado di “scovare” i clandestini sul mare e a volte persino nell’entroterra, droni a noleggio che costano 400mila euro al mese. Ma perché questa caccia al tesoro? Che guadagno ne hanno delle organizzazioni umanitarie il cui solo interesse è salvare dal mare i poveri clandestini? Questo è un altro mistero. Naturalmente a questi costi stratosferici si devono aggiungere quelli per l’acquisto iniziale delle navi, i carburanti, gli attracchi, la gestione, la manutenzione ordinaria, il personale… Parliamo di centinaia e centinaia di milioni di euro. Un altro dato è interessante: nel 2016 la percentuale dei clandestini “salvati” dalle ong era stata del 30 per cento, mentre in questi primi mesi del 2017, caratterizzati da un aumento incredibile degli sbarchi in Italia, tale percentuale è salita al 50 per cento.

L’intervento massiccio delle ong non ha limitato il numero dei morti

Ancora più interessante è il fatto che l’aumentare delle azioni delle ong non ha affatto diminuito il numero dei morti in mare: a questi poveracci viene data una bussola, un satellitare e si dice loro si seguire una certa rotta, tanto presto arriverà una nave ong a “soccorrerli”. Infine, ricordiamo che al Cara di Mineo è entrata anche l’ombra della criminalità organizzata, sempre presente quando ci sono molti soldi che girano. Le organizzazioni mafiose, a detta delle procure, agiscono negli appalti per i servizi offerti da cooperative imprenditori collegati alla criminalità. Quindi: più clandestini arrivano, più soldi girano. E’ un affare colossale. La cosa, se non fosse tragica, ha un risvolto comico: tra le navi militari e le navi ong si è innescata una sorta di competizione a chi arriva prima a “salvare” i clandestini. Ma arrivano quasi sempre le navi ong nelle aree di mare dove sono i barconi: come mai? Una coincidenza? In definitiva, le ong hanno creato un corridoio attraverso il quale arrivano i clandestini, decidendo che devono venire in Italia e non in Libia stessa, in Tunisia, a Malta, come prescrive la legge. Le ong si stanno sostituendo agli Stati facendo arrivare i clandestini dove non dovrebbero arrivare. Perché? Un’ultima annotazione che prova che le ong non sono estranee all’invasione organizzata di africani in Italia: come è noto, negli anni scorsi nei mesi freddi gli arrivi diminuivano, perché era più difficile affrontare una traversata. Quest’anno sono aumentate, perché evidentemente la prospettiva è quella di percorrere un tratto di mare brevissimo, perché tanto poi arrivano le buone ong a “salvarci”. Le navi ong sono a 12 miglia dalle coste libiche, cosa che spinge gli scafisti a partire anche con il mare forte, solo che ovviamente non sempre le cose vanno bene, così il numero dei morti è aumentato insieme a quello delle partenze. I buoni e caritatevoli “soccorritori” non possono essere ovunque…

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