Marta Russo vent’anni dopo: caso chiuso? Un libro dimostra il contrario
Aveva capelli biondi e lisci, un viso dolce, uno sguardo mite. Il suo nome è legato a un omicidio che nella percezione comune è rimasto insoluto, benché dei colpevoli siano stati condannati. Non si conosce ancora, infatti, la ragione dell’uccisione, vent’anni fa (era il 9 maggio 1997) di Marta Russo, mentre camminava con un’amica nei viali dell’Università La Sapienza di Roma.
Verità di comodo
Ora un giornalista tenace con un libro coraggioso ripercorre quella tragica storia e mostra pagina dopo pagina come sia stata costruita una verità di comodo. Lui è Vittorio Pezzuto, il libro si intitola Marta Russo. Di sicuro c’è solo che è morta. Una frase giù utilizzata per l’omicidio di Salvatore Giuliano. (https://www.amazon.it/MARTA-RU
Ma c’è un’altra particolarità: queste seicento pagine di controinchiesta non le ha volute pubblicare nessuno. Con la scusa che Marta non interessava più o per paura di ritorsioni giudiziarie. Eppure il libro è ben costruito e ben scritto. Se lo si comincia non lo si lascia fino alla fine. E allora Pezzuto si è autopubblicato su Amazon e ha fatto bene. Perché scrivere un libro del genere è un atto di impegno civile verso tutti coloro che non si rassegnano alle verità di Stato. Per una strana coincidenza il destino ha voluto che la tomba al Verano di Marta Russo si trovi accanto a quella del giovane missino Stefano Recchioni, uno dei caduti della strage di Acca Larenzia. Anche per lui l’inchiesta si chiuse senza convincere: ucciso da un proiettile vagante.
Marta Russo entra subito nel cuore degli italiani e vi resta. Per la sua fragile giovinezza, per l’assurdità del delitto, perché fa troppa impressione una studentessa colpita alla testa dentro un ateneo. “Gli italiani – scrive Pezzuto – hanno imparato a conoscere e ad apprezzare questa studentessa dalla vita ordinata e semplice, che viveva con i genitori e la sorella al primo piano di un moderno condominio nel quartiere Tuscolano. Una figlia come tante, cresciuta in una famiglia come tante”. Marta Russo diventa la figlia di tutti gli italiani. Che vogliono e pretendono un colpevole.
18 faldoni di documenti
«Mi sono avvicinato a questa storia senza pregiudizi – racconta Pezzuto nell’introduzione – costruendomi un imponente archivio personale che comprende 18 faldoni contenenti i documenti dell’inchiesta e del processo (interrogatori, perizie balistiche, intercettazioni ambientali e telefoniche, trascrizioni delle udienze in Corte d’Assise), tutti i take Ansa sul caso lanciati dal 1997 al 2015 nonché circa 8mila articoli ed editoriali apparsi sui maggiori quotidiani e periodici. Ben presto mi sono accorto che i conti non tornavano: assenza di qualsivoglia movente, arma mai ritrovata, 9 testimonianze dell’accusa fragili e contraddittorie, perizie balistiche ballerine (le due particelle di bario e di antimonio trovate sulla finestra della Sala assistenti non erano ad esempio residui di polvere da sparo ma molto probabilmente residui di frenatura d’auto), errori fondamentali nella lettura degli orari dei tabulati telefonici, ecc. Su tutto l’esigenza della Procura di trovare un qualsivoglia colpevole per rassicurare l’opinione pubblica già scossa da molti delitti insoluti nella Capitale. In coda al volume propongo anche due ipotesi alternative a quella ufficiale, sancita dalle reiterate sentenze di condanna (peraltro espiate per intero) di Scattone e Ferraro.»
La pista alternativa: scambio di persona
In alternativa all’inchiesta condotta dai magistrati Italo Ormanni e Carlo Lasperanza, il libro rilancia la pista dello scambio di persona, che invece gli inquirenti scartarono subito. Al posto di Marta doveva morire un’altra ragazza. Forse Marta è stata scambiata per una ragazza messinese figlia di un pentito di mafia o forse per una ragazza di Frosinone il cui padre aveva ricevuto minacce dai boss locali. Entrambe somigliavano a Marta. Ma la loro storia non ha convinto i magistrati. Di sicuro il modo con cui si arriva a incastrare Scattone e Ferraro è inquietante, ed è qui il reale interesse del libro. Il suo valore di controinformazione e il suo sottolineare che forse l’inchiesta in Italia non è ancora del tutto morta.