Legge elettorale, Renzi snobba il Colle: il Pd non è il capro espiatorio

7 Mag 2017 18:01 - di Valerio Falerni

In diritto si chiama inversione dell’onere della prova ed è un principio in base al quale, limitatamente a reati molto gravi, non è l’accusa a dover dimostrare la fondatezza della propria tesi ma è l’imputato a doverla smontare. Matteo Renzi, fresco di reinvestitura a leader del Pd, vorrebbe ora applicarla anche in politica, in particolare sulla legge elettorale. Non per questioni di colpevolezza e di innocenza, ma solo per capire a chi spetti l’onere della prima mossa. Sul punto Renzi ritiene di aver già dato. Davanti ai suoi riuniti in assemblea e rivolgendosi a Sergio Mattarella, è stato fin troppo chiaro, quasi sprezzante: «Abbiamo proposto il Mattarellum, l’Italicum, il tedesco e ci siamo sentiti dire solo di no». Ragion per cui, ha aggiunto, «sulla legge elettorale il Pd non farà la parte del capro espiatorio».

Insorge la sinistra: «Da Renzi linea avventurista»

Se cercava un ritorno col botto, non poteva scegliere argomento migliore. Già, perché maneggiare con tanta disinvoltura l’argomento del sistema di voto a circa un anno dalla fine naturale della legislatura, significa giocare al tanto peggio tanto meglio. A maggior ragione se si considera che quelle da lui classificate come «proposte» erano in realtà solo esche lanciate al solo scopo di testarne l’effetto. In realtà, gli obiettivi ai quali Renzi non intende rinunciare sono due: i capilista bloccati e il premio alla lista. Il primo gli serve per riempire le Camere di propri fedelissimi, il secondo per lasciare annaspare sotto il pelo del quorum gli scissionisti di Bersani e D’Alema. Non a caso la reazione più stizzita alle sue parole è venuta, attraverso Alfredo D’Attorre, proprio dal Mdp-Articolo 1: «La lezione del 4 dicembre non gli è servita, ma presto Renzi si renderà conto di nuovo della differenza fra le primarie sempre meno partecipate, in cui il Pd se la canta e se la suona da solo, e le elezioni in cui votano tutti gli italiani».

Di Maio conciliante: «Pronti al confronto con il Pd»

Ma su Renzi grava anche il sospetto dell’inciucio post-elettorale con Berlusconi. Lo lascia capire Andrea Orlando: «Io – ha detto il Guardasigilli – vedo una strada soltanto, che siamo noi a assumere l’iniziativa. Mettiamo alcuni punti fermi: premio di governabilità, collegi, superamento dei capilista bloccati e proviamo a vedere chi è disponibile a ragionare con noi su questo». A tentare di stanare Renzi provvedeva Luigi Di Maio che dai microfoni di In 1/2 ora presentava i Cinquestelle come «sinceramente aperti» al confronto: «Il Pd ci dica quale cosa vuole cambiare e troviamo in Parlamento un punto di caduta comune che possa essere approvato insieme prima dell’estate». Critico con l’ex-premier il forzista Renato Schifani: «Renzi sulla legge elettorale continua a fare la solita stucchevole melina. Da giorni dichiara di attendere le proposte degli altri, ma dimentica che Forza Italia la sua proposta l’ha fatta e depositata ormai da tempo».

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