Legge elettorale, Il Pd apre. Berlusconi non si fida: «Renzi scopra le carte»

9 Mag 2017 14:41 - di Niccolo Silvestri

Nessuna chiusura aprioristica, ma neppure entusiastica adesione all’appello lanciato dal Corriere della Sera dal ministro Dario Franceschini. Più semplicemente, Silvio Berlusconi e Forza Italia vogliono vederci chiaro e, soprattutto, capire quali «proposte concrete» il Pd calerà sulla riforma elettorale. Solo dopo si potrà aprire una trattativa vera e propria. Al Cavaliere Franceschini ha chiesto di «fare insieme la legge elettorale». Un appello realistico sotto cui, però, potrebbe anche annidarsi un’insidia. Il problema non è Franceschini ma Renzi del quale, spiegano fonti “azzurre”, «nessuno si fida fino in fondo».

Nè chiusura né adesione all’appello di Franceschini

Insomma, come ha efficacemente chiosato un forzista anonimo, «vogliamo prima vedere cammello, poi si inizierà a fare sul serio». Una linea che ricalca in piena quella di Berlusconi, silenziosamente attestato sul sistema proporzionale con premio alla coalizione in attesa di vedere altri scoprire le proprie carte. A parlare sono i suoi sherpa come Renato Brunetta, ultrà dello «spirito del massimo consenso possibile» che nelle prossime ore incontrerà Andrea Mazziotti, presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, per ribadire la linea indicata dalla proposta presentata ufficialmente a nome del partito azzurro.

Berlusconi giovedì sarà a Roma

Berlusconi calerà a Roma solo dopodomani, giorno in cui dovrebbe essere pronto il testo base di riforma. Nel frattempo, continuano, frenetiche, le trattative tra i partiti. Al Senato ci sarebbero stati contatti informali tra M5S e FI per sondare il terreno. I Cinquestelle vorrebbero un doppio turno, senza ballottaggio, a cui possono accedere tutti i partiti che superano la soglia del 20 per cento al primo giro. Ma c’è chi è pronto a scommettere che alla fine si arriverà a un accordo di massima solo sull’innalzamento dello sbarramento al 5 per cento ipotizzato dai renziani, così da tagliar fuori i partiti più piccoli e giocare una partita a quattro, Pd M5S Lega e FI, per poi gestire il dopo voto alle politiche.

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