Ecco le foto che smentiscono Moas: così incontra i trafficanti in mare

6 Mag 2017 19:07 - di Paolo Lami

Tre foto. Consegnate proprio dal Moas, due anni fa, all’edizione domenicale del Times of Malta, il quotidiano in lingua inglese dell’isola dove ha sede la Migrant Offshore Aid Station di Christopher e Regina Catambrone. Tre foto che documentano, in maniera inequivocabile, l’incontro in mare fra gli uomini della Moas e i trafficanti libici.

Moas carica i primi immigrati dal barcone

Moas carica i primi immigrati dal barcone

Moas carica gli ultimi immigrati dal barcone

Moas carica gli ultimi immigrati dal barcone

I trafficanti libici si riportano via il barcone dove stavano gli immigrati

I trafficanti libici si riportano via il barcone dove stavano gli immigrati

L’8 marzo del 2015, quando ancora pochi sapevano cosa fosse Moas e nessuno immaginava che di lì a due anni sarebbe esploso il caso delle Organizzazioni Non Governative che fanno da taxi per gli immigrati che sbarcano in Italia incontrandosi con gli scafisti in mezzo al mare a ridosso delle coste libiche, il giornalista maltese freelance Mark Micallef racconta sul  Times of Malta la storia della contestata Ong spiegando che i coniugi Catambrone hanno iniettato in questa avventura 8 milioni di euro personali. E illustra l’articolo proprio con le foto, consegnate dal Moas, dell’incontro in mare fra gli uomini dei coniugi Catambrone e i trafficanti.

Non è che i Catambrone se la passino proprio male – hanno, pur sempre, dietro alle spalle, la Tangier Group, una società basata a Malta, al 54 di Melita Street, specializzata in assicurazioni in zone di crisi ad alto rischio e servizi accessori che, nel 2014, ha avuto ricavi per 10 milioni di dollari – ma certo  Moas, la cui fondazione è amministrata dalla ReSyH Ltd con sede al 7 di Trophimus Street a Malta, è un pozzo senza fondo. Servono soldi, e pure tanti, per mantenere e far funzionare quell’organizzazione che, con grande lungimiranza, ha visto business là dove gli altri vedevano solo problemi e invasione di immigrati e ha investito in navi e droni da 2 milioni di euro.

Nell’articolo sul Times of Malta di due anni fa firmato da Micallef viene data voce alla frustrazione dei manager Moas rispetto al fatto che la missione di salvataggio Mare Nostrum finanziata dall’Italia nel 2014 è stata sostituita dalla missione Ue Triton. Che obbliga le navi a stare a non più di 30 miglia dalla costa italiana. Una strategia che non piace per niente né ai coniugi Catambrone né al loro consulente speciale, il documentarista Robert Young Pelton, una specie di Indiana Jones specializzato in reportage in zone di conflitto e ad alto rischio.

Cristopher Catambrone – che, nel 2014, ha avuto l’intuito di approcciare in chiave manageriale il dramma degli immigrati e il loro trasporto in Italia (mai a Malta che, per il Diritto del mare, è, invece, il porto più vicino e, dunque, dove c’è l’obbligo di sbarcarli) – né Pelton, nascondono al giornalista del Times of Malta la propria insoddisfazione. Si capisce che vorrebbero stare sotto la costa libica e raccogliere gli immigrati appena i trafficanti mettono la prua dei malconci barconi in acqua per salpare.

E’ lo stesso giornalista di The Times of Malta a spiegare qual’è l’atout del consulente speciale Pelton. soprattutto nel momento in cui la nave Phoenix del Moas si appresta a pattugliare non più l’Italia ma le pericolosissime coste libiche, piene di insidie di ogni genere. E cosa può offrire Pelton ai Catambrone che lo hanno corteggiato per tanto tempo pur di averlo nel proprio team: «In questo senso – scrive Mark Micallef  sul Times of Malta – l’aiuto del signor Pelton non avrebbe potuto essere più puntuale. Con un’esperienza in più di 40 zone di conflitto» durante i quali si è costruito «una reputazione» per la sua capacità «di ottenere “accesso”, senza precedenti, ad organizzazioni terroristiche e a gruppi di insorti come Al-Qaeda e i talebani» Pelton «porta a Moas una preziosa visione della sicurezza in un momento in cui» il conflitto «è in aumento a livelli senza precedenti in Libia». Più chiaro di così.

Cosa fa, dunque Pelton per i Catambrone? Tiene, per caso, i rapporti con le organizzazioni terroristiche? Dialoga con i trafficanti e con gli insorti? Tiene i rapporti con chi, in Libia, si occupa del traffico degli immigrati? Tutte domande che, prima o poi, dovranno avere una risposta esauriente. Magari davanti alla Commissione Difesa o alla Commissione Schengen del Parlamento italiano che stanno indagando sul traffico di immigrati e sulle Ong.

Pelton sostiene anche, nell’intervista, che non ha senso immaginare che i terroristi si infiltrino fra gli immigrati sui barconi. E’ troppo rischioso per loro, sosteneva nel 2015. Non la pensa così né il ministro libico dell’Informazione, Omar al Gawari né il Copasir italiano. Che, infatti, lanciano un allarme specifico.

E’ qui, comunque, che Cristopher Catambrone rivela a Mark Micallef l’incontro in mare con i trafficanti. Fornisce al quotidiano maltese, che le pubblica nell’edizione domenicale, le foto di quell’incontro. Senza immaginare che due anni dopo la sua misteriosa organizzazione Moas sarebbe stata fra quelle accusate proprio di incontrare i trafficanti libici di fronte alle coste della Jahamaria durante il “salvataggio” degli immigrati dai malconci barconi.

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