A Bruxelles il decreto che smaschera la pasta Barilla con grano non italiano
«Finalmente sarà possibile smascherare l’inganno di un pacco di pasta su tre fatto con grano straniero senza indicazione, come pure per un pacco di riso su quattro, dopo il boom delle importazioni da paesi asiatici come il Vietnam che ha aumentato le proprio esportazioni di riso in Italia del 346 per cento nel 2016».
Esulta Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti per l’avvio della procedura formale di notifica a Bruxelles dei decreti dai ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda per l’introduzione, in Italia, dell’obbligo di indicazione della materia prima per la pasta e per il riso.
I provvedimenti sono stati inviati ora all’esame della Commissione Ue. In particolare i decreti prevedono per il riso l’indicazione del luogo di coltivazione, di lavorazione e di confezionamento. La norma prevede che se le tre fasi si svolgono in uno stesso Paese si può utilizzare la dicitura ad esempio «origine del riso: Italia». Per i pacchi di pasta secca si prevede il luogo di coltivazione del grano e quello di provenienza della semola.
«L’assenza dell’indicazione chiara dell’origine non consente di conoscere un elemento di scelta determinante per le caratteristiche qualitative, ma impedisce anche ai consumatori di sostenere le realtà produttive nazionale e con esse il lavoro e l’economia del vero Made in Italy», spiega Moncalvo nel sottolineare che «in un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti».
Già a dicembre 2016 era montata la polemica perché Barilla aveva contestato l’etichettatura della pasta con l’origine del grano nel momento in cui il ministro Martina aveva annunciato di aver inviato a Bruxelles, per la prima verifica, lo schema di decreto che introduce la sperimentazione dell’indicazione obbligatoria dell’origine per la filiera grano pasta in Italia.
Una misura che, per Barilla, «non è sinonimo di qualità» e, anzi, va a detrimento «del consumatore che potrebbe addirittura pagare di più una pasta meno buona. E l’industria della pasta, con un prodotto meno buono, perderebbe quote di mercato soprattutto all’estero».