Il 24 maggio del 1915 l’Italia irrompe nella storia. Ma nessuno lo ricorda più
Ai giovanissimi è una data che non racconta più niente. Eppure, della tormentata e travagliata storia d’Italia, il 24 maggio resta una pietra miliare, seppur confinata nella toponomastica d’antan e nella strofa iniziale della Leggenda del Piave («l’esercito marciava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio») del compositore E. A. Mario, pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta, compositore e paroliere napoletano che con il conterraneo Armando Diaz, il generale succeduto al piemontese Cadorna, impresse l’indelebile suggello “sudista” alla vittoria militare del 1918. Strano a dirsi, ma la storia dell’Italia moderna comincia proprio in quel giorno del 1915, eroico epilogo del «maggio radioso»: un susseguirsi continuo di manifestazioni popolari pro-intervento militare dell’Italia a fianco di Inghilterra, Francia e Russia aperto dal celeberrimo discorso di Gabriele d’Annunzio a Quarto, sotto il monumento che ricorda la spedizione dei Mille. Già, quella che sarebbe stata ricordata come la Grande Guerra era, per il Vate, il completamento del Risorgimento, cioè il ritorno alla patria delle terre irredente. Più interessato alla guerra come acceleratore della lotta di classe era invece il socialista “eretico” Benito Mussolini, espulso per il suo interventismo dall’Avanti! e fondatore del Popolo d’Italia. Che al futuro Duce interessasse più la rivoluzione proletaria che la sistemazione dei sacri confini nazionali lo testimoniano ancor oggi le due massime – «chi ha del ferro, ha del pane» di Auguste Blanqui, e «la rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette» di Napoleone Bonaparte – che campeggiavano sul suo giornale. Ma interventisti erano anche i futuristi di Marinetti, per i quali la guerra era semplicemente «l’igiene del mondo». C’è (c’era) questo e tanto altro ancora dietro il 24 maggio. Soprattutto ci fu il popolo, sulla cui capacità di mobilitazione, resistenza e infine di combattimento nessuno avrebbe scommesso un soldo falso, a cominciare dai nostri alleati. Eppure fu proprio quell’esercito a sopportare per intero il peso delle truppe degli Imperi centrali una volta che la Russia, nel frattempo conquistata da Lenin, decise di ritirarsi dal conflitto. Fu dapprima Caporetto, con le linee dell’Isonzo e del Tagliamento spazzate via dalla reazione nemica, e poi fu il Piave, la difesa estrema, saltata la quale l’Italia avrebbe cessato di esistere. Ma non saltò. Da lì, anzi, partì la controffensiva che terminò con Vittorio Veneto e la sconfitta degli austriaci: «I resti di quelli che fu uno dei più potenti eserciti del mondo – scrisse Diaz nel Bollettino della vittoria – risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». L’Italia era una e libera, finalmente racchiusa nei suoi confini naturali delimitati sin dai tempi di Augusto imperatore. E tutto è cominciato il 24 maggio. Peccato che nessuno lo ricordi più.