Vannoni in stato di fermo: la nuova inchiesta sul metodo stamina arriva in Georgia
Da questa mattina Davide Vannoni è in stato di fermo. Ad eseguire il provvedimento i NAS dei carabinieri che glielo hanno notificato nella sua abitazione, sulla collina torinese. A confermare il provvedimento è intervenuto poco fa anche il suo legale, Liborio Cataliotti, che ha precisato che è stato il suo stesso assistito ad informarlo del nuovo provvedimento che sarebbe scattato per un pericolo di fuga. Il provvedimento di fermo per Vannoni, infatti, sarebbe scattato perché risultava prossimo un suo allontanamento dal territorio nazionale.
Davide Vannoni in stato di fermo
L’ultima delle accuse indirizzate a suo nome punta l’indice contro il promotore del controverso “metodo stamina” per aver praticato il suo protocollo in Georgia – una procedura disconosciuta dalla comunità scientifica – su numerosi pazienti reclutati in Italia, che pagavano fino a 27.000 euro per sottoporsi alla terapia. I reati contestati a Vannoni sono, dunque, l’associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, la truffa aggravata, la somministrazione di farmaci non conformi nella attività di trattamento di gravi malattie neurodegenerative. Peraltro, hanno spiegato gli investigatori, dalle intercettazioni nelle ultime settimane sono emersi numerosi contatti volti a individuare una nuova località estera, dall’Ucraina, alla Bielorussia, a Santo Domingo, dove riprendere l’attività per la quale Vannoni aveva già patteggiato una pena, così come la biologa Erica Molino, anch’essa oggetto oggi di perquisizioni che hanno interessato anche una terza persona, Rosalinda La Barbera, presidente dell’associazione Prostamina Life, veicolo di reclutamento dei malati.
I clienti reclutati e curati in Georgia
Dalle prime indiscrezioni sul caso, sembra che i clienti reclutati in Italia e curati in Georgia sarebbero una cinquantina. Dalla Georgia Vannoni era stato allontanato lo scorso novembre a seguito di una segnalazione partita dalla procura di Torino. Complessivamente le persone coinvolte nella nuova inchiesta, coordinata dal procuratore Vincenzo Pacileo, sarebbero meno di una decina. Tra questi figurerebbero alcuni collaboratori che hanno familiari affetti da patologie neurodegenerative.