Rasata a zero perché rifiuta il velo, il padre si giustifica: «Aveva i pidocchi»
Stampa e web l’hanno etichettata come la storia del velo: e il velo è quello che i genitori originari del Bangladesh avrebbero voluto imporre alla figlia adolescente, punita per quel rifiuto di indossarlo ostentato e reiterato con la rasatura a zero dei capelli. La polemica infuria senza sosta da almeno due giorni e così, per par condicio, sui principali quotidiani italiani è apparsa nelle scorse ore la versione dei fatti – o meglio, una loro lettura – dei genitori della ragazzina, nel frattempo trasferita in una comunità protetta a Bologna, dopo che i servizi sociali hanno deciso di allontanarla dalla famiglia.
Rasata a zero per punizione? Il padre: aveva i pidocchi
«L’islam non c’entra; nostra figlia è libera: l’abbiamo rasata perché aveva i pidocchi», hanno provato a difendersi i due immigrati del Bangladesh in Italia dal 2004, in un’intervista rilasciata al Resto del Carlino, ma la loro versione sembra non convincere e non reggere l’onda d’urto delle recriminazioni che questa storia di ordinaria coercizione culturale e indottrinamento religioso ha scatenato. «Questa storia del velo non è vera e ha rovinato la mia famiglia – denuncia a usa volta il padre della ragazza, un operaio 40enne», ribadendo l’assoluta libertà della figlia, come delle due sorelle di 15 e 17 anni, di indosaare o meno il hijab, il velo che lascia scoperta la faccia. Anzi, aggiunge, «a volte lo portava, altre lo toglieva», come se la religione, soprattutto per come la intendono i fedeli dell’Islam, fosse un banchetto a cui servirsi liberamente, scegliendo tutto e il contrario di tutto da un minuto all’altro. Ma non è solo questo tipo di argomentazioni a non convincere: nel tentativo di giustificare ancora una volta il taglio radicale dei capelli, il bengalese aggiunge: «È successo che aveva preso i pidocchi a scuola… Mia moglie allora le ha tagliato i capelli, ma non era pratica e ha tagliato troppo». Una versione, questa, smentita dalla stessa ragazza e anche dalla stessa scuola che, ai carabinieri che hanno inteerpellato preside e insegnati, ha escluso che ci fossero casi di pedeculosi in corso o recenti.
Le versioni di ragazza e genitori non collimano
Ma non è il solo caso in cui le versione della figlia e quelle dei genitori non collimano: il padre, infatti, disegna sulla sua famiglia un idilliaco quadro di libertà religiosa e comportamentale – «le mie figlie – si legge ancora nell’intervista – sono sempre state libere. Io sono musulmano, vado in moschea dopo il lavoro, seguo la mia religione e le mie tradizioni, ma loro non sono obbligate. Lo fanno solo se lo vogliono, è una loro scelta» – mentre la ragazza parla di pressioni esercitate dal padre e dalla madre affinché lei indossasse il velo, come di proibizioni a frequentare un ragazzo piuttosto che un altro, di divieti e di punizioni. Un quadro a tinte forti e scure, tutt’altro che idilliaco e aperto. E mentre la quattoridicenne dalla comunità protetta in cui è stata condotta continua a ribadire quanto rivelato all’insegnante e alla preside – e poi ai carabinieri e ai servizi sociali – la sorella 16enne difende i genitori e la smentisce. A fare chiarezza, allora, potranno essere solo le indagini che, nel frattempo vanno avanti: con i genitori che continuano a chiedere che la figlia torni a casa da loro, e che verranno a breve sentiti ufficialmente dagli inquirenti , quando la loro versione, ufficialmente messa verbale, sarà confrontata con quella della ragazza e dei suoi testimoni: professori, preside e compagni di classe. Ma a giudicare dai commenti che in queste ore affollano la rete, l’opinione pubblica un’idea sulla possibile verità se l’è già abbondantemente fatta: e non propende affatto per le ragioni dei genitori…