Oggi Milano ricorda anche i ragazzi di Salò Carlo Borsani ed Enrico Pedenovi

29 Apr 2017 18:26 - di Antonio Pannullo

Carlo Borsani, Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, sono tre vittime dell’odio comunista, assassinati in anni diversi, ma dalle stesse persone e per gli stessi motivi: erano fascisti, e uccidere un fascista allora non era reato. Oggi Milano ricorda le tre vittime con una serie di iniziative, incentrate sulla figura del giovane Sergio Ramelli, che aveva solo 18 anni, del quale parliamo più approfonditamente in altra parte del giornale. Carlo Borsani noi missini non lo abbiamo conosciuto, giacché fu assassinato dai partigiani con un colpo alla nuca, secondo il loro sistema, dopo uno dei soliti processi-farsa del 1945, ma anche dal libro che su di lui scrisse Giorgio Almirante, sappiamo che era del 1917 e che durante la Seconda Guerra Mondiale fu ferito gravemente, rimanendo cieco, e meritandosi per il suo eroismo la Medaglia d’Oro al Valor militare, lui vivente. Dopo l’8 settembre 1943 aderì senza esitazioni alla Repubblica Sociale Italiana, dove fu presidente dell’Associazione mutilati e invalidi di guerra e dirigendo il quotidiano La Repubblica fascista, essendo Borsani un letterato e un poeta, oltre che un giornalista. La sera del 25 aprile 1945 lo trovò all’albergo Nord di Milano in compagnia di altri giovani della Decima Mas. Il 26 mattina rifiutò generosamente l’offerta del comandante Junio Valerio Borghese che gli aveva proposto l’espatrio. Il giorno successivo, grazie a una spiata, fu catturato dai partigiani rossi e rinchiuso nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Il giorno successivo fu portato insieme a don Tullio Calcagno a piazzale Susa dove fu assassinato con un colpo alla nuca dai partigiani. Il suo cadavere fu gettato su un carretto della spazzatura e al collo gli fu appeso il cartello: “Ex Medaglia d’Oro” e portato in giro per la città per terrorizzare i cittadini. Oggi riposa al cimitero del Musocco, al Campo 10, in compagnia di centinaio di suoi camerati.

Quel discorso che Enrico Pedenovi non pronunciò mai

Ma anche dopo la guerra le “avanguardie rivoluzionarie comuniste” facevano antifascismo in questo modo, e quel che è peggio era che godevano, se non di aperto consenso, tuttavia di una certa tolleranza compiaciuta da parte dei cosiddetti “intellettuali” radical chic, che spesso si trovavano a sinistra per convenienza e per aprirsi carriere redditizie. Che la violenza invece venisse solo da sinistra è dimostrato dal fatto che esattamente un anno dopo l’omicidio Ramelli, malgrado il tentativo dei missini di abbassare il livello di odio politico, il consigliere provinciale missino Enrico Pedenovi, che stava andando proprio alla commemorazione per Ramelli, fu assassinato con cinque colpi di pistola. Pedenovi, avvocato, ex Repubblica Sociale, aveva 49 anni, una moglie e due figli. Ed era esattamente l’opposto dell’icona fascista così come i comunisti l’hanno sempre rappresentata. Il nome di Pedenovi compariva, insieme con migliaia di altri, nell’opuscolo di Lotta Continua “Basta con i fascisti!”, in cui oltre ai nominativi, erano schedati gli indirizzi, i mezzi di trasporto, i numeri telefonici, le abitudini dei fascisti o presunti tali. Delle vere e proprie liste di proscrizione. In seguito gli esponenti di Avanguardia Operaia si resero protagonisti di altri episodi di intolleranza nei confronti di chi non la pensava come loro. La guerra, da parte loro, fu totale, ogni fascista preso doveva essere ucciso, e il 29 aprile assassinando Pedenovi, ex ragazzo di Salò anch’egli, della Decima. Nel pomeriggio Pedenovi avrebbe dovuto commemorare Sergio Ramelli, ma quel discorso non lo pronunciò mai: alle 7,45 un commando di Prima Linea lo attese al distributore di viale Lombardia dove sapeva che si sarebbe fermato. Gli spararono da due diverse direzioni e lo uccisero. Nel 1984 la corte d’Assise di Milano condannò i tre responsabili a due ergastoli e a 28 anni di reclusione. Dagli atti del processo risultò che Pedenovi era stato scelto sia perché era un bersaglio facilissimo, ma soprattutto perché era il prototipo del missino pericoloso per la sinistra: onesto, perbene, coraggioso, incorruttibile. Andava eliminato. E quell’assassinio, in quel giorno, era un chiaro segnale della sinistra per dire che loro la democrazia non l’avrebbero mai applicata e che la lotta contro i fascisti continuava a essere senza quartiere: bambini, adolescenti, ragazzi, uomini inermi cadevano sotto i colpi di quello che Almirante chiamò l’odio cieco dei comunisti. Guerra a oltranza, dicevano le sinistre, ma soprattutto nessun pentimento.

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