La superbomba di Trump sull’Afghanistan lanciata con gli occhi alla Corea

14 Apr 2017 14:51 - di Antonio Pannullo

Non è servita la lettera aperta del talebani a Donald Trump all’indomani della sua elezione alla Casa Bianca, in cui chiedevano un ritiro americano dal Paese asiatico. La super bomba americana – la più grande non nucleare – lanciata ieri in Afghanistan ha ucciso “solo” 36 terroristi dell’Isis. Lo affermano autorità afghane. Secondo il ministero della Difesa afghano, sono almeno 36 i militanti dello Stato Islamico (Isis) uccisi nel raid americano condotto ieri sera in Afghanistan con quella che viene definita la ”madre di tutte le bombe”, l’ordigno GBU-43/B. Obiettivo dell’attacco era proprio quella di colpire i jihadisti dell’Isis e i tunnel da loro scavati nella provincia orientale di Nangarhar al confine con il Pakistan. ”Nel raid sono stati distrutti tre covi dell’Is, una serie di bunker e tunnel profondi, oltre a molte armi e munizioni”, si legge in un comunicato diffuso dal ministero della Difesa di Kabul. Non si registrano vittime civili, precisa il testo, sottolineando che ”le forze americane hanno preso tutte le precauzioni necessarie a evitare vittime civili nel raid”.

Persino Karzai furente con Trump: testano le loro bombe

Dura reazione dell’ex presidente afghano Hamid Karzai all’operazione Usa in Afghanistan. “Questa non è guerra al terrorismo, ma uso, disumano e brutale, del
nostro Paese per testare armi nuove – ha scritto Karzai su Twitter – Sta a noi, a noi afghani, fermare gli Usa”. Karzai ha quindi “condannato con forza, nei termini più forti” l’operazione Usa durante la quale è sganciata la “madre di tutte le bombe”. Critiche ufficiali anche dal vicino Pakistan. Ma molti pensano che l’idea di Trump fosse un’altra: occhi puntati sulla Corea del Nord, tra minacce e sfide a distanza con gli Stati Uniti che “stanno già valutando” opzioni militari, mentre vi sono indicazioni di un possibile nuovo test nucleare da parte di Pyongyang. Ma anche dopo il lancio della “madre di tutte le bombe”, da molti letto anche come un avvertimento indiretto di Trump a Pyongyang, che per bocca del viceministro degli Esteri nordcoreano replica: “Non resteremo con le braccia incrociate” in caso di un attacco preventivo americano, e “andrà in guerra” se gli Stati Uniti “lo sceglieranno”. Si apre oggi intanto a Mosca la quinta conferenza internazionale di pace per l’Afghanistan ospitata in Russia. Si tratta di un nuovo round di colloqui finalizzati a metter fine al conflitto in corso da 16 anni in Afghanistan. Vi partecipano 12 Paesi. I precedenti colloqui risalgono al 15 febbraio, quando al tavolo dei negoziati si sederono i delegati di Russia, Cina, Pakistan, Iran, India e Afghanistan. In quell’occasione le parti concordarono di aumentare gli sforzi per promuovere una riconciliazione nazionale attraverso la collaborazione regionale e affidando a Kabul il ruolo di leader.

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