Tolkien e l’Italia: così la sinistra ha impedito un amore a prima vista

9 Mar 2017 10:50 - di Redattore 54

 

La storia della diffusione e della fortuna letteraria del Signore degli Anelli , il capolavoro di J.R.R. Tolkien apparso nelle librerie inglesi nel 1954, è molto interessante allo scopo di comprendere l’approccio della mentalità moderna alla visione “epica” del racconto.

Un recensore entusiasta delle vicende della Terra di Mezzo fu C.S.Lewis che paragonò addirittura Tolkien ad Ariosto ma non mancarono da subito anche i detrattori come Peter Green che definì sul Daily Telegraph Il Signore degli Anelli “un’opera informe” che passa “da una composizione preraffaellita al temino fatto da un bambino”.  

La confraternita letteraria inglese guardò sempre a Toilkien con malcelato disprezzo. Uno dei suoi biografi, Michael White, riferisce che nel 1997 la catena di librerie Waterstones fece un sondaggio tra i clienti per sapere quale libro del XX secolo preferissero: arrivò primo Il Signore degli Anelli. Come? Tolkien più popolare di Charles Dickens e Jane Austen?  La notizia provocò reazioni di sconforto tra i letterati britannici convinti che Tolkien fosse solo un autore per bambini o – come scrivevano le femministe – per “adolescenti maschi”.

Il successo del Signore degli Anelli arrivò quando Tolkien aveva circa 65 anni. E in Italia quale fu la storia editoriale del libro? Lo racconta con eccezionale supporto di documenti Oronzo Cilli nel suo recentissimo studio Tolkien e l’Italia (ediz. Il Cerchio) che contiene anche gli appunti inediti del viaggio che lo scrittore fece nel nostro paese nel 1955, insieme alla figlia Priscilla, facendo tappa a Venezia e ad Assisi. La prima parte della trilogia tolkieniana, La Compagnia dell’Anello, fu pubblicata in Italia nel 1967 da Ubaldini, casa editrice “di nicchia”. Il destino dell’opera sarebbe stato diverso se Mondadori non avesse rifiutato la pubblicazione nel 1955 .

Eppure il parere di lettura di Ruth Domino-Tassoni era molto favorevole: il libro, a suo avviso, riprendeva “una delle antiche funzioni della letteratura: raccontare meraviglie e portare i lettori oltre i limiti della loro esistenza quotidiana”. Mondadori visiona il libro nuovamente nel 1962 e nuovamente rifiuta di pubblicarlo. Dietro la scelta, il giudizio di Attilio Landi che parla di costruzione mitologica artificiosa e soprattutto quello di Elio Vittorini: “Il successo del tentativo richiederebbe la forza di un vero e proprio genio (che Tolkien dà prova di non essere) e la convalida di una attualità (cioè che il libro implicasse la metafora di qualche attualità) ma ciò non si verifica affatto”. Qui non siamo ancora al rifiuto ideologico di Tolkien, tuttavia non se ne apprezza quella sua “fuga dal reale” che era considerata dall’autore come un pregio  e non come un difetto.

L’ideologia subentra dopo – come sottolinea Gianfranco De Turris nella prefazione al libro di Cilli – e cioè quando Il Signore degli Anelli esce in un unico volume, con la prefazione dello studioso di esoterismo Elemire Zolla, per la casa editrice Rusconi, all’epoca diretta da Alfredo Cattabiani, e ritenuta una centrale della cultura di destra. La circostanza, che non fu certo casuale, contribuì a far nascere la leggenda di un Tolkien paladino della cultura dell’irrazionale. La casa editrice Rusconi – citata esplicitamente dalla rivista Rinascita come un “pericolo da non sottovalutare” – pubblicava infatti autori certo non allineati alla fede progressista: da Florenskij a Jünger, da Cristina Campo a René Guénon, da Mircea Eliade a Hans Urs von Balthasar. Una politica editoriale temuta dal conformismo asfissiante degli anni Settanta che finì col sacrificare ai suoi pregiudizi anche Tolkien e il suo capolavoro. 

 

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