Ha da tornà Baffone: il 5 marzo 1953 morì Stalin. Il Pci: “Duro, ma giusto”…
Il 5 marzo del 1953 moriva a Mosca Iosif Vissarionovič Džugašvili, meglio conosciuto come Iosif Stalin, in italiano Giuseppe Stalin. In realtà Stalin era il suo soprannome, e vuol dire acciaio. Negli anni di piombo in Italia gli “stalin” erano anche i nodosi bastoni di legno utilizzati dal servizio d’ordine del Partito comunista italiano nelle manifestazioni: servivano nei cordoni di sicurezza, ma alla bisogna erano utilizzati anche per altro. La desinenza in -ili del suo cognome ne indica l’origine georgiana, dove Stalin era nato, a Gori, nel 1879. Gori è al centro della Georgia, Paese da sempre nemico dei soviet, e oggi, nèmesi della storia, c’è una grande base militare conforme agli standard della Nato. La Georgia non fa parte della Nato ancora, ma è in regime di partenariato, poiché dopo a guerra con la Russia del 2008, la sua adesione potrebbe minare seriamente la stabilità internazionale. A Gori, che oggi ha 50mila abitanti, c’è un grande museo dedicato a Stalin, in un grande parco, su due piani, dove sono raccolti foto, oggetti, statue, regali dei capi di Stato esteri, articoli di giornale, libri; accanto al museo, che è in stile neoclassico e fu edificato negli anni Cinquanta, c’è la sua casa natale e il famoso vagone ferroviario sul quale si recò alle conferenze di Teheran e di Yalta durante la Seconda Guerra Mondiale. Un servizio di guide consente la visita al museo. Nella piazza principale c’era la statua a lui dedicata, una delle poche rimaste in Unione Sovietica dopo il processo di destalinizzazione intrapreso da Nikita Krusciov, ma il monumento fu rimosso nel 2010 per poi essere rimesso all’interno del museo. Sorprendentemente, la statua non fu abbattuta dopo l’indipendenza georgiana, ma si era pensato di sostituirla con una dedicata alle vittime della guerra con Mosca del 2008, ma nel 2013 si abbandonò l’idea.
Stalin perseguitò i “nemici del popolo” esterni e interni
Su Stalin non si può oggi dire o scrivere nulla di nuovo o di inedito: la sua figura è stata studiata in tutti i suoi aspetti, su di lui ci sono innumerevoli biografie, saggi, libri, poche sono le zone d’ombra nel suo operato. Di lui sono passate alla storia alcune espressioni che sono entrate nel lessico comune: “stalinismo”; per definire un sistema dittatoriale e negativo di un governo o di un partito; “purghe”, per indicare la repressione del dissenso e delle minoranze etniche. E in effetti Stalin nel corso del suo decennio di dittatura assoluta, dal 1941 alla sua morte nel 1953 (anche se era segretario del Partito comunista dal 1922), se la prese con tutte le minoranze e le etnìe: ebrei, ucraini, polacchi, uzbeki, armeni, baltici, ungheresi, romeni, mongoli, cinesi, italiani di Crimea, cattolici, persino con i suoi compatrioti georgiani, poiché ben trentamila di loro si erano arruolati volontariamente nelle Waffen SS per combattere contro i soviet. L’elenco delle persone da lui perseguitate è lunghissimo; a lui si devono i gulag, altro nome divenuto noto in Occidente dopo la caduta dell’Urss, e furono milioni i prigionieri morti in questi campi. Come sempre, è impossibile dare delle cifre senza dare l’impressione di sparare numeri al Lotto, perché c’è chi sostiene che furono 60 milioni le vittime causate dal regine staliniano, chi 20, chi 15. Ma la sua figura non suscita lo stesso orrore che suscita da esempio quella di Hitler, benché si sia macchiato degli stessi crimini, perché? La ragione è da ricercare nel fatto che da oltre Cortina per molti anni non è mai trapelato nulla: le persone morivano in silenzio, come accadde ad esempio per l’Holodomor, la “morte per fame” che Stalin comminò a milioni di ucraini, confiscando loro il grano prodotto; anche per il massacro di Katyn, da Mosca sempre negato, dove le guardie rosse assassinarono 22mila persone tra militari e civili, la verità è venuta fuori molti anni dopo la guerra. E così per tutti i crimini del comunismo stalinista, sul quale il velo cominciò a essere lentamente sollevato solo con l’avvento di Boris Eltsin, in tempi dunque relativamente recenti. C’è da aggiungere poi che il regime aveva imposto un diffuso culto della personalità nei suoi confronti, e chi lo trasgrediva o non lo applicava con zelo pagava con la morte. Stalin, infine, aveva vinto la guerra, e questo lo riconciliò in parte coi russi, che soffrirono orribilmente durante l’invasione tedesca. La vittoria lo assolse in qualche modo da tutte le atrocità fatte in precedenza, consentendogli di governare ancora per qualche anno. La tolleranza dell’Occidente, dell’Europa e degli Usa in particolare, per l’antico alleato in una guerra devastante, fecero il resto. Dopo la guerra, Stalin e il suo governo finanziarono tutti i partiti comunisti del mondo, Italia compresa, e armarono tutti i gruppi marxisti operanti nel pianeta,a cominciare da Cuba. I danni fatti da Stalin sono incalcolabili, e gli storici dovranno lavorare ancora molti anni prima di ordinare e di raccontare tutto ciò che successe. Crediamo che nulla meglio di una vignetta del Corrierino uscito durante la guerra sintetizzi quello che era Stalin. Sotto la vignetta con la caricatura del dittatore c’erano queste rime innocenti:“L’orco rosso del Cremlino il terribile Stalino, dice urlando come un pazzo alla guardia di palazzo: i compagni qui segnati siano tutti fucilati!”. Sì, perché Stalin oltre a perseguitare i nemici, veri o presunti, esterni, se la prese anche con quelli interni: a migliaia furono i membri del Pcus fucilati o assassinati dai suoi efficienti servizi segreti. Era solo un pazzo paranoico? No, era un comunista che metteva in pratica le teorie di Lenin sulla dittatura del proletariato e sulla violenza di classe.