Giustizia, la rivoluzione è compiuta, le toghe al potere. Gasparri: mostruoso

11 Mar 2017 16:54 - di Paolo Lami

La rivoluzione è compiuta. Il potere giudiziario si sostituisce a quello politico. Un sogno a lungo accarezzato e, poi, tenacemente perseguito dalla magistratura militante e ideologizzata. E reso ora possibile da quel partito, il Pd, che, grazie alla magistratura, ha ribaltato le urne elettorali a colpi di sentenze.
E’ Andrea Orlando, già ministro renziano della Giustizia, a spalancare le porte al nuovo corso fondendo due dei tre poteri dello stato di diritto in un unico grumo vischioso. Una chimera, un mostro politico-giudiziario, «…lion la testa, il petto capra, e drago la coda». Con buona pace della democrazia e delle sue regole fondamentali.

La leva con il cui Pd si prepara a scardinare quelli che sono i paletti fondamentali dello Stato è la riforma penale e, in particolare, l’articolo sulle intercettazioni. Una risorsa del potere giudiziario – e quindi anche dello Stato – che la magistratura ha, invece, piegato a proprio tornaconto abusandone spesso e trasformandolo, in questi anni, in uno strumento di lotta politica. Non più risorsa ma veleno della democrazia. Da tempo si parla della necessità di riformare la giustizia penale. Soprattutto per impedire quello che è stato fatto in questi anni dalla magistratura – ma, anche, in parte, da alcuni avvocati e uomini della polizia giudiziaria – cioè spifferare tutto lo spifferabile e anche oltre. Magari per azzoppare qualche avversario politico dandolo in pasto ai media.

Andrea Orlando, che in questo periodo di bufere giudiziarie, ha tutto l’interesse a tenersi buona la magistratura e che, oltretutto, ambirebbe a strappare la segreteria Pd a Renzi partendo faticosamente da un 25 per cento dei consensi, strizza l’occhio alle toghe.
Chi, meglio della magistratura – che delle intercettazioni ha spesso abusato e che le intercettazioni ha, spesso, diffuso – può mettere mano alla riforma delle intercettazioni? Deve aver pensato questo il buon Orlando quando ha partorito l’idea di una Commissione fatta di magistrati, cioè dei capi delle Procure più in vista, oltreché, bontà sua, di avvocati e professori di diritto per mettere mano alla riforma delle intercettazioni.

«Pur avendo idee molto diverse dalle sue, ho sempre avuto rispetto per Andrea Orlando. – dice il senatore Maurizio Gasparri – Non vorrei che adesso debba pagare anche lui un tributo agli ideologismi della sinistra visto che è impegnato nelle primarie del Pd. Leggo infatti, con sconcerto, che, in materia di intercettazioni, vuol chiedere a colpi di fiducia una delega al Parlamento per “girarla” ai capi delle Procure che dovrebbero scrivere le nuove. La “legge Pignatone” in materia di intercettazioni sarebbe una mostruosità».

Orlando, sottolinea l’esponente azzurro, «sa benissimo che la separazione dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, è il fondamento stesso della Democrazia. Già i magistrati invadono la scena politica ed anche quella parlamentare da decenni costringendo l’Italia a un pensiero unico. Ora, affidare a Pignatone e c. la riscrittura delle norme sulle intercettazioni è un’ipotesi intollerabile. Ne parlerò nelle prossime ore in Parlamento perché non accetto un’Italia in cui siano i togati a decidere tutto».

«Non voglio un’Italia – avverte il vicepresidente di Palazzo Madama – in cui le norme sulla giustizia le debbano scrivere persone come il già procuratore aggiunto di Roma e attualmente alto esponente della Cassazione Nello Rossi, sulle cui vicende mi soffermerò nel mio intervento di mercoledì pomeriggio al Senato. Orlando non si renda responsabile di quello che ai miei occhi appare un misfatto. La “legge Pignatone” non si può fare e le diremo con chiarezza».

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