«Fragalà ucciso perché combatteva la mafia». Sei arresti, ecco chi è il killer (video)
Lo hanno ammazzato perché combatteva Cosa Nostra. E perché, da avvocato, invitava i suoi clienti a coadiuvare gli inquirenti nelle loro indagini sui clan. E’ questo il motivo per cui la sera del 23 febbraio 2010 una squadra di mafiosi del mandamento di Palermo Porta Nuova affiliati alla cosca di Borgo Vecchio aggredì mortalmente, a colpi di bastone, vicino al suo studio e al Tribunale di Palermo, Enzo Fragalà, parlamentare di Alleanza nazionale e specchiato avvocato penalista. Enzo Fragalà morirà, in ospedale, tre giorni dopo. Un omicidio feroce che, a sette anni di distanza, vede finire in carcere sei mafiosi, tre dei quali erano già stati arrestati e, poi, scarcerati dal Tribunale di Riesame e archiviati dal gip nel gennaio 2015.
Stavolta, però, a inchiodare i sei ai quali il gip contesta anche l’aggravante mafiosa, non c’è solamente la confessione piena di un pentito, Francesco Chiarello, affiliato alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, che gestiva il racket per conto della cosca e che, il 27 aprile 2015, aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia raccontando le modalità esecutive dell’omicidio e facendo nomi e cognomi degli autori.
«Sono felice! Ho sempre pensato che fosse un omicidio di mafia. E non c’è dubbio che è un omicidio volontario – dice ora Marzia Fragalà, figlia di Enzo Fragalà e lei stessa avvocato – Mio padre è stato punito perché era un professionista serio e soprattutto libero. Con questi arresti mio padre ha avuto la giustizia che meritava».
La confessione, intercettata, di un mafioso alla moglie
Ora c’è, a supporto dell’indagine dei carabinieri e dei magistrati palermitani, anche «una confessione in diretta di un indagato», Francesco Cocco, oggi arrestato, «che, nel corso di una conversazione con la moglie – rivela il procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi – dopo avere appreso della collaborazione di Chiarello, comprende di essere gravemente a rischio». Intercettato, Cocco dice alla moglie, «Se questo (Francesco Chiarello, ndr) parla, sono rovinato». Lasciando sbigottita la donna.
Ma non è tutto. A completare il quadro che ha mandato oggi in carcere i sei, Francesco Arcuri, Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia – già arrestati e poi scarcerati – e Antonino Abbate, Paolo Cocco, genero di Ingrassia e Francesco Castronovo, ci sono anche le immagini di una telecamera di videosorveglianza che riprese a pochi metri dallo studio di Enzo Fragalà, in via Nicolò Turrisi, luogo dell’omicidio, alle spalle del Tribunale di Palermo, proprio Siragusa e Ingrassia.
«L’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà è stato un omicidio di mafia. Furono i vertici di Cosa nostra a volere la morte del professionista – spiega il procuratore capo di Palermo Lo Voi – E’ stato un segnale all’intera classe forense».
«Si tratta di un passo avanti estremamente importate nelle indagini che riguardano questa vicenda e che ha avuto un percorso precedente che aveva già portato all’emissione di ordinanze cautelari poi revocate con archiviazione del procedimento – ricorda il Procuratore – Però questo non ha comportato che le indagini si fermassero, anzi, appena avuto l’opportuntò di recuperare qualche nuovo spunto che ci consentisse di indagare su qualche nuovo filone, siamo andati avanti
perché ritenevamo importante che per un fatto così grave come l’omicidio di un professionista non dovesse esserci una adeguata risposta».
Alla svolta si è arrivati anche grazie alla collaborazione del pentito Francesco Chiarello che «era a conoscenza – rivela Lo Voi – di numerosi particolari». E che, per la prima volta, ha fatto entrare nell’inchiesta i nomi di Francesco Castronovo e Paolo Cocco, mai sfiorati prima dagli accertamenti degli investigatori. E’ stato Chiariello a svelare che anche Castronovo e Cocco («Se questo parla, sono rovinato», ha detto alla moglie), avevano partecipato all’omicidio. E che, anzi, Castronovo, un bestione di un centinaio di chili, ne era l’esecutore materiale. Era stato lui a colpirlo ripetutamente a bastonate fino a ferirlo a morte. Sarà arrestato il 18 giugno 2010 nell’ambito dell’operazione Eleio assieme ad altri 14 affiliati a Cosa Nostra.
I ruoli dei killer nella preparazione dell’omicidio
In particolare, Francesco Arcuri, racconta ora Lo Voi, pianificò «la spedizione punitiva, senza tuttavia parteciparvi di persona». Antonino Abbate, invece, partecipò sia alla fase organizzativa sia alla fase esecutiva dell’aggressione . E, da questo punto di vista, si occupò prima di individuare Fragalà e, successivamente, di coprire gli aggressori. Anche Salvatore Ingrassia e Antonino Siragusa parteciparono prima alla fase organizzativa e, poi, alla fase
esecutiva dell’aggressione. Anche loro si occuparono di coprire gli aggressori materiali. E furono ripresi dalle telecamere della zona. Paolo Cocco si occupò di trasportare sul luogo del delitto la mazza utilizzata per l’esecuzione aiutando Francesco Castronovo nell’aggressione. Fu lui, infatti,a colpire materialmente Enzo Fragalà.
Le intercettazioni che inchiodano i killer di Fragalà
Le fonti di prova sono numerose, spiegano gli inquirenti. Paolo Cocco viene intercettato mentre confessa alla moglie di aver partecipato all’omicidio.
Non solo. Dopo aver trovato una microspia installata all’interno della sua abitazione, rassicurava Domenico Tantillo, in quel momento rappresentante della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio e oggi collaboratore di giustizia, di non aver mai parlato in casa sua di un omicidio in cui erano coinvolti sia lui che il suocero Ingrassia.
E ancora: Castronovo veniva intercettato mentre, parlando dell’omicidio, riferiva alla cugina che fino a quel momento se l’era «scansata», cioè era riuscito ad evitare di essere tirato in ballo.
Da ultimo la confessione del neo-pentito Francesco Chiarello agli inquirenti: l’ordine di aggredire Fragalà era stato impartito perché «… chistu era ‘un curnutu e sbirru» e«doveva parlare più poco». «Non ci toccate se, né soldi e se ha oggetti, perché lui deve capire che non è una rapina, deve capire che deve parlare poco».
Fragalà dava fastidio a Cosa Nostra, per questo fu ucciso
Insomma, spiega Lo Voi, quella «linea professionale intrapresa con convinzione» da Fragalà che invitava «i suoi assistiti, soprattutto quelli coinvolti in procedimenti di mafia» ad «assumere un atteggiamento di sostanziale apertura verso la magistratura» aveva fatto imbestialire Cosa Nostra. Che, con l’omicidio, voleva, da un lato, «piegare la condotta professionale dell’avvocato Fragalà a maggior rispetto nei confronti dell’organizzazione mafiosa e dei
suoi esponenti» e, dall’altro, mandare un «implicito messaggio intimidatorio nei confronti dell’intera Avvocatura palermitana».
«L’avvocato Enzo Fragalà veniva considerato da Cosa nostra uno “sbirro”. Perché aveva intrapreso una linea professionale che andava contro i dettami di Cosa nostra e che dava fastidio», spiega il Comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, colonnello Antonio Di Stasio. Cosa nostra voleva dare un segnale a tutta la classe forense e per questo «l’ordine era quello di non toccare nulla, né portafoglio né altri oggetti di valore, perché il segnale doveva essere chiaro e il gesto non doveva essere confuso con una rapina».
Minuto dopo minuto, così i killer compiono l’agguato mortale
Quel 23 febbraio 2010 Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia e Francesco Arcuri si incontrano a Borgo Vecchio per mettere a punto gli ultimi dettagli dell’agguato. Sono le 19.09, un’ora e mezza prima dell’aggressione. Un’intercettazione li inchioda: parlano fra di loro della necessità di andare da qualche parte, a bordo di una moto, armati di un bastone di legno. «Chiddi unn’e’ cuntu ca’ s’annu arricugghiutu cu’ u cuoso i lignu» (quelli ancora non sono arrivati con quel coso di legno) dice Siragusa agli altri due. Quelli che devono portare il bastone sono, appunto, Paolo Cocco, incaricato di portare la mazza per l’aggressione, e Francesco Castronovo, l’esecutore materiale del delitto.
Alle 20,23 le telecamere di un impianto di videosorveglianza riprendono Siragusa e Ingrassia a pochi metri dallo studio legale di Enzo Fragalà, in via Nicolò Turrisi, dove avviene l’aggressione. Tre minuti dopo, alle 20,26, Siragusa riceve due telefonate sul suo cellulare che aggancia le celle vicino a via Turrisi. E’ la prova del nove che lui si trova lì in quel momento.
Alle 20.38 Enzo Fragalà esce, ignaro, dallo studio. I suoi killer lo stanno aspettando. Un minuto dopo, ecco l’aggressione. Inattesa. Feroce. Enzo Fragalà cade a terra sotto i colpi di bastone dell’assassino. Una sequenza infinita di bastonate. Alla testa, al fianco, sulle gambe. Nove minuti dopo le telecamere riprendono Siragusa e Ingrassia che si allontanano dal luogo del delitto.