Camorra, Dc e Brigate Rosse: il “patto infame” della Campania degli anni ’80

12 Mar 2017 19:17 - di Francesca De Ambra

Camorra, Dc e Brigate Rosse: un triangolo che siamo abituati a disegnare solo in riferimento alla storia del rapimento di Ciro Cirillo, l’oscuro assessore regionale della Democrazia Cristiana campana rapito dalle Br ma per la cui liberazione furono scomodati persino apparati dello Stato. Furono uomini dei Servizi, infatti, a contattare in carcere Raffaele Cutolo, il boss della Nco, la Nuova camorra organizzata, affinché aprisse una linea di contatto con i terroristi. E così fu: le Br liberarono Cirillo in cambio di un miliardo di lire, forse due e Cutolo ebbe mano libera negli appalti della ricostruzione post-terremoto.

La camorra non agì solo per liberare Cirillo

Una storia oscura e a dir poco inquietante, Soprattutto se si pensa che solo tre anni prima la Dc aveva lasciato morire il proprio presidente, Aldo Moro, per mano delle stesse Brigate Rosse. Ma quello di Cirillo non è l’unico capitolo di questa sconcertante triangolazione. Stessa regione, stessi attori. Ma stavolta il lieto fine non c’è. Anzi ci scappa il morto: è Raffaele Delcogliano, 38 anni, avvocato beneventano, ma soprattutto assessore regionale al Lavoro, anche lui dc. È la mattina del 27 aprile 1982 quando un commando di terroristi lo uccide, a Napoli. Il fuoco delle Br non risparmia neppure il suo autista e amico: Aldo Iermano. Un duplice delitto che all’epoca fu ascritto allo scenario tormentato dei cosiddetti Anni di piombo. Invece c’era ance la mano della camorra e di settori collusi della Dc.

“Il patto infame” è il titolo del libro sul delitto Delcogliano

A distanza di quasi quarant’anni dall’attentato emerge infatti una verità molto più inquietante. Ne ha scritto nel libro “Il patto infame“, edito da Melampo, il giornalista Luigi Grimaldi, beneventano trapiantato a Verona. Dalle pagine emergono tracce finora ignorate, che conducono a scellerati interessi comuni che all’epoca legarono le Br, la camorra e una spregiudicata politica locale, che utilizzava il lavoro come strumento clientelare, per fare incetta di consensi ‘aspirando’ soldi pubblici dallo Stato. La solita storia, verrebbe da dire. Cui però si opponeva il giovane avvocato di Benevento. Fino ad inimicarsi spezzoni del suo stesso partito dei quali condannava la logica dei favori in cambio di voti. Era un innovatore, insomma, che aveva deciso di voltar pagina. Immaginava di correre dei rischi politici, certamente non quello di finire in quel singolare triangolo della morte. Il libro riporta anche brani di un discorso in cui Delcogliano spiegava il senso del suo impegno anticlientelare: «Non lo faccio perché voglio salvare qualcuno in particolare. Quando si fanno discorsi come li faccio io, forse non salvo neanche me stesso». Parole profetiche.

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