Nel Pd la parola più citata è “destra”. Un incubo che mette tutti d’accordo

19 Feb 2017 18:40 - di Luca Maurelli

C’è Roberto Giachetti che si scusa per la frase dell’altra volta, quelle sulle “facce come il culo”, ma non la ripete per pudore, anzi, forse per quel richiamo che gli arriva prima del suo intervento: “Roberto, mi raccomando…”. E lui: “Cos’è? Una censura preventiva?”. Si scherza, ma solo per qualche istante, perché il brusìo che arriva dalla platea quando l’ex radicale inizia a parlare ricorda a tutti che la minoranza, quella di Speranza e Bersani, non gli ha perdonato gli insulti dell’altra volta e non si commuove a quei richiami all’unità e perfino alla sinistra. Quella parolina lì, sinistra, “io sono di sinistra”, “rispetto la sinistra”, “la storia gloriosa dellla sinistra”, fa sempre la sua figura tra i post comunisti e i neo-renziani, ma stavolta scatena soprattutto emozioni bellicose tra gli “scissionisti” e i “lealisti” che se le danno di santa ragione in un sala che odora di ring.

La parola “sinistra” divide,
la “destra” unisce tutti…

Sinistra, dai tempi di Gaber, è la parola che risuona più spesso nelle discussioni al bar, come oggi nella sala che ospita la storica assemblea della scissione, quella in cui il Pd si sfalda proprio per le diverse prospettive politiche che derivano da quella vocazione nostalgica alimentata da chi chiede spazio e propone antiche alleanze da zibaldone. A turno tutti evocano quella parolina magica, sul palco, carezzandola, esaltandola, rispolverandola perfino nella patetica esaltazione di quel Bandiera rossa che sembra aver commosso tutti più dell’Inno di Mameli. Ma in realtà, ad un ascolto attento, se quel riferimento divide e basta c’è un altro termine che unisce graniticamente tutti e finisce per essere anche più citato di “sinistra” e di “scissione”: è la parola “destra”, declinata al singolare o al plurale, destre, o in modo più articolato, centrodestra, o in una dimensione parlamentare, opposizioni, fino alla citazione esterofila, il “trumpismo“, che per il Pd di oggi è il male assoluto, il nemico incomprensibile, il mostro che ha preso in ostaggio il mondo. Come potrebbe accadere all’Italia, fanno notare i Giachetti, i Veltroni, gli Epifani, i Pittella, i Martina, chiunque trovi spazio su quel pulpito nel quale si sta consumando la scissione. La destra, come al solito etichettata come rozza, incolta, populista, dicono però che abbia capito tutto, propone disvalori, certo, ma vince ovunque, schiacciando la sinistra, marginalizzandola, in un mondo che – direbbe Battisti ai compagni – non ci vuole più.  E allora che fare, a parte indignarsi?

Il Pd americano ha paura
dei “trumpisti” italiani

Non è un caso che il messaggio più allarmato sul Pd “italiano” arrivi dai segretari e dirigenti del Pd Usa: “Siamo preoccupati per le vicende interne al nostro partito e rimaniamo  increduli per le modalità della discussione che si protrae da troppo  tempo e, soprattutto, per la minaccia di una scissione. Negli Stati Uniti, subiamo i risultati di una tornata elettorale che ha segnato la  crisi dei democratici americani e che ha portato una destra xenofoba e  populista alla guida del Paese….”. Eccetera eccetera.

Trump, dunque, il pericolo globale viene da lì mentre in ambito europeo incombono Marine Le Pen, Salvini, Meloni, lo stesso Berlusconi . Ecco perché ancora una volta, come per anni è stato per l’anti-berlusconismo, la mozione degli affetti diventa la ricerca dell’unità contro il nemico, il trumpismo delle destre italiane, anche a costo di mettere su un altro carrozzone prodiano in stile Unione. Basta la parola, destra, e in platea scatta l’applauso generale, il brividino, ci si sente meno soli e meno incazzati. No alla scissione, sì all’accozzaglia nel nome dell’incubo da scacciare, le destre, è questa l’unica ricetta renziana per fingere di voler tenere unito il Pd, ma a ben vedere è anche la stessa di chi vuole andarsene dal Pd proprio per unirsi a quella sinistra che gli strizza l’occhio, sempre con la prospettiva di alzare i muri per fermare l’ondata anti-europeista, lepeniana e filotrampista. Una scorciatoia che ieri portava dritti dritti alla vittoria di Berlusconi  e che oggi apre autostrade politiche alla destra che, sebbene ancora divisa, almeno non ha bisogno di farsi dei nemici ideologici per dare un senso alle sue battaglie politiche. 

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