La Panarello resta in cella. Il gup: una «manipolatrice» che può uccidere ancora
Di volti, da quel 29 novembre 2014, quando nella sua abitazione di Santa Croce Camerina ha ucciso il figlio Loris di 8 anni, Veronica Panarello ne ha mostrati tanti: quello della madre addolarata, della giovane innamorata, della moglie traditrice e della donna confusa, della figlia osteggiata e abbandonata dalla famiglia, e della donna stordita dai fatti, tradita dalla memoria. Ma per il gup Andrea Reale, che rigettata la richiesta di detenzione domiciliare per la detenuta condannata in primo grado a 30 anni di carcere con l’accusa di avere ucciso il wsuo primogenito, di cui poi avrebbe anche occultato il cadavere, le sue bugie non convincono e non depistano. Anzi…
La Panarello, per il gup è una «manipolatrice»
E per ben 194 pagine di accuse, il magistrato, tra riscontri e testimonianze, analisi psicologica e lettura in 3D dei fatti, mette nero su bianco le ambiguità della Panarello, le sue contraddizioni, le sue poliedriche sfaccettature caratteriali e frutto di un passato familiare non proprio lineare. E allora, «il falso alibi fornito, le diverse versioni sui fatti, le plurime contraddizioni, i tentativi di accusare altre persone, la condotta processuale spregiudicata e calunniosa, ribadita in forma glaciale e senza tentennamenti anche davanti al giudice, costituiscono comprova dell’inverosimiglianza di amnesie dissociative retrograde», scrive il gup Reale, spiegherebbero a sua detta come e perché Veronica Panarello abbia avuto «una condotta deplorevole, reiteratamente menzognera, calunniosa e manipolatrice».
Su di lei il sospetto del «pericolo di fuga e di reiterazione del reato»
E perché è stata rigettata la richiesta di detenzione domiciliare per Veronica Panarello, condannata in primo grado a 30 anni di carcere.Non solo: il gup Andrea Reale nel rigettare la richiesta di arresti domiciliari avanzata dall’avvocato della donna, Francesco Villardita, segnala che «permangono i pericoli di fuga e di reiterazione del reato». Secondo il giudice «rimane attualissimo il concreto pericolo che l’imputata possa commettere gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale e della stessa specie di quelli per cui si procede», alla luce, motiva il «delle modalità del fatto – di una gravità estrema trattandosi dell’omicidio del figlio di 8 anni con inusitata brutalità – e dell’intensità del dolo manifestato dalla donna nella concreta esecuzione dei reati». Un ulteriore condanna messa nero su bianco nelle carte di questo tragico – e ormai drammaticamente chiaro – caso di cronaca.