Cosa Nostra e camorra alleate per inondare di droga tutta Palermo
Clienti assidui e insospettabili, consegne a domicilio sotto casa e ufficio o nei luoghi della movida, un linguaggio criptico e ridotto all’osso. C’è tutto questo nelle
pieghe dell’operazione antidroga eseguita all’alba di oggi dalla Polizia di Stato a Palermo che ha svelato il patto stretto da Cosa nostra e Camorra per importare un fiume di droga nel capoluogo siciliano. Hashish, eroina ma, soprattutto, cocaina che invadevano le piazze dello spaccio del capoluogo siciliano per animare le notti da sballo della città. Centinaia le conversazioni e gli sms intercettati dagli investigatori della Squadra mobile, diretti da Rodolfo Ruperti, in cui di volta in volta la droga diventava “Ceres”, “cataloghi”, “persone a cena”. Avvocati, impiegati, liberi professionisti, un giornalista, gente comune e persino un ex poliziotto. Tra novembre 2012 e giugno 2013 gli investigatori hanno intercettato 70 contatti telefonici tra l’agente e il suo pusher di fiducia. Brevi conversazioni, talvolta squilli che testimoniano contatti costanti per rifornirsi di cocaina. C’era chi chiamava utilizzando persino il cellulare di servizio, intestato all’assessorato regionale alla Sanità, e chi avvisava i pusher finiti oggi in manette di posti di blocco.
La droga venica chiamata “Ceres”, “cataloghi”, “persone a cena”
Tra i clienti più affezionati c’era anche si occupava di fare da intermediario con gli spacciatori. Procacciatrici di affari. “Non devi chiamare Mario, devi chiamare l’amichetto mio nuovo… devi chiamare Antonio, e se ti dico una cosa è quella… c’è un motivo…” diceva una donna al telefono. E davanti alla titubanza del suo interlocutore alla ricerca sì di cocaina di qualità, ma anche di riservatezza e affidabilità, lo tranquillizzava: “allora… lo devi guardare in faccia… appena lo vedi
in faccia… vede la somiglianza con il dad… ma non posso dirti niente”, facendo intendere all’uomo all’altro capo del telefono che il pusher è il figlio di una comune conoscenza. Ma tra i clienti c’era anche chi si lamentava: “Sembra diverso questo mangiare… Sembra che abbiamo mangiato diverso lì… al ristorante di ieri. No, non è ristorante per noi, questa taverna è”.