Cervo Bianco, il falso capo indiano che beffò pure Mussolini

11 Feb 2017 17:32 - di Antonio Pannullo

Solo recentemente si è tornati a parlare di questo straordinario personaggio, che per anni ingannò, beffò e prese in giro tutto il mondo. Edgardo Laplante, americano di Rhode Island, a un certo punto della sua vita disse di essere il grande capo indiano Cervo Bianco e in queste vesti girò tutto il mondo, riuscendo pure a compiere uno spettacolare tour in Italia, giungendo a un passo dal farsi ricevere da Benito Mussolini. Smascherato, l’impostore fu rinchiuso nel manicomio di Mendrisio dagli svizzeri, meno creduloni di noi italiani. Dopo due processi per truffa, fu rilasciato, tornò negli Stati Uniti dove morì nel febbraio del 1944 a Phoenix, in Arizona. Su di lui sono stati scritti almeno due libri e innumerevoli articoli. Ma raccontiamola per intero questa affascinante storia pirandelliana. Edgar Laplante nacque nel 1888 a Pawtucket, nel Rhode Island. Suo padre era canadese francofono ma sua madre era effettivamente una indiana d’America. Non aveva tanta voglia di studiare, a parte il canto, così giovanissimo abbandonò la casa avita e si aggregò a scalcinate compagnie di vaudeville cominciando a girare l’America con compagnie di teatro. A 30 anni sposò una certa Bertha Thompson, con la quale continuò il suo girovagare vendendo intrugli miracolosi, cosa piuttosto comune dell’America di quegli anni, e raccogliendo fondi a favore della Croce Rossa, che poi bellamente intascava. Nel 1923 arriva quello che forse è il bivio che gli cambierà la vita: la Paramount ingaggia la sua compagnia teatrale per promuovere un film western, I pionieri, e lui interpretava la parte di un pellerossa. Da quel momento, probabilmente, non uscì mai più dalla parte, credendosi un vero capo indiano e approfittando di questa veste per guadagnarsi la vita. Il tour lo conduce in Inghilterra, dove Edgar ha buon gioco, mascherato da pellerossa, a raccontare sesquipedali panzane sulle sue origini: sostiene di essere l’ultimo di 1600 capi indiani, di essere il sakem che ha conferito al Principe di Galles il titolo di “Grande stella del mattino”, e di dover quanto prima essere ricevuto da re Giorgio, anche se poi l’incontro non avverrà mai. A Manchester, sempre nel 1923, si risposa con la vedova inglese Elizabeth Holmes. La sua compagnia torna negli States, ma lui rimane in Europa, avendo capito che lo status di capo indiano – per la cronaca, si faceva chiamare Cervo Bianco – avrebbe potuto consentirgli di vivere senza lavorare.

Cervo Bianco divenne “fascista ad honorem”

Mette su un vero e proprio one man show, cantando canzoni irochesi, probabilmente apprese dalla madre che irochese lo era davvero, e ballando nel costume tradizionale. Si esibisce un po’ in tutta Europa, dall’Inghilterra al Belgio alla Francia. E proprio in una di queste esibizioni, in Costa Azzurra, conosce e fa innamorare di sé la giovane Antonia Khevenhueller, nobile ricchissima, la cui famiglia sarà costretta a supportare le costose stravaganze di Cervo Bianco. Percorre tutta l’Italia, alloggiando nei migliori alberghi e distribuendo generosamente soldi alla gente, a volte addirittura lanciandoli dalla finestra a una folla plaudente. Conobbe molti esponenti fascisti, dai quali fu preso a benvolere, si esibì davanti a loro – cantava da tenore – e a un certo punto sembrava dovesse essere ricevuto addirittura da Mussolini, ma non sembra che questo incontro avvenne mai, malgrado alcune fonti sostengano il contrario. Donò soldi anche a federazioni provinciali fasciste, per ingraziarsi il regime. Ricevette, a quanto pare, la tessera del Partito nazionale fascista ad honorem. Incontrò industriali, attori, uomini politici, dicendosi legale rappresentante degli interessi del popolo irochese in Europa. Millantava immensi possedimenti in Canada e ricchezze da regina di Saba. Ma dopo qualche anno la contessa Antonia, con le finanze prosciugate dal suo munifica amante e ingelositasi per qualche avventura di troppo di Cervo Bianco, lo denunciò, anche per riavere i suoi soldi. Lui riuscì a riparare in Svizzera, ma lì arrivò un mandato di arresto internazionale spiccato dagli Stati Uniti. Finì nel manicomio di Mendrisio. Al processo in Svizzera, nel 1925, si difese dicendo che tutto quello che aveva fatto e detto era da intendersi, in quanto artista, nella cornice di una narrazione teatrale. Realtà e finzione, molteplici identità, fasto e spettacolo sono le cifre della sua gigantesca impostura, della quale, però, rimase prigioniero per sempre. Gli svizzeri lo liberarono dopo pochi mesi ma Cervo Bianco dovette sostenere un altro processo, l’anno successivo, a Torino, del quale la stampa piemontese diede ampia cronaca. Fu condannato a cinque anni di reclusione, ma ne scontò tre. Nel 1929 La Stampa di Torino annuncia la sua liberazione con l’irridente titolo Il Cervo Bianco in libertà. La perizia psichiatrica lo definisce un bugiardo patologico dalla personalità istrionica, proprio quello che era. Tornò negli Stati Uniti e nel 1930 un articolo di giornale dice che è tornato al teatro. Pochi anni dopo morì in Arizona. Al Museo Cesare Lombroso di Torino c’è ancora esposto il suo costume di scena, da Cervo Bianco. Il regista Beppe Leonetti sta approntando un documentario sulla sua incredibile avventura.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *