Altro che gaffe di Trump, la polveriera svedese a rischio esplosione: rivolta nelle banlieu

27 Feb 2017 13:26 - di Prisca Righetti

Hanno riso, sbeffeggiato, inneggiato all’equivoco internazionale e tuonato contro Dolald Trump e le sue improvvide gaffes istituzionali. Ma appena una settimana dopo quel lunedì 20 febbraio passato alla storia della diplomazia come il giorno dell’«inventato attacco in Svezia» che ha costretto il tycoon newyorkese alla rettifica su Twitter con cui ha spiegato: «La mia dichiarazione su quanto accaduto in Svezia faceva riferimento a una storia trasmessa da Fox News riguardante gli immigrati e la Svezia», e un documentario sulle presunte violenze dei rifugiati nella penisola scandinava, oggi arriva la drammatica conferma di quanto denunciato – preconizzato? – dal presidente Usa: è rivolta nelle banlieu svedesi.

La polveriera Stoccolma: rivolta nelle banlieu svedesi

E così, ai microfoni della Cnn, un testimone ben lontano dal gioco politico e da logiche mediatiche, ha ribadito: «Tutto quello che ha detto Donald Trump è vero», chiosando poi: «L’immigrazione è fuori controllo. Sono molti e non c’è posto per loro. Il vero problema sono i rifugiati. Vengono qui e credono di poter fare quello che vogliono». Dunque, i riflettori si concentrano sul casus belli e non sulle sue appendici diplomatiche e derivazioni secondarie, con sommo gaaudio di Trump che, non a caso o per sbaglio, aveva citato la polveriera Svezia tra i Paesi europei che avevano subito le conseguenze più drammatiche del massiccio afflusso di richiedenti asilo. Non per niente, allora, Trump avrà sbagliato sulla notte precisa in cui la Polveriera svedese sarebbe esplosa, ma che la guerriglia urbana sarebbe prima o poi degenerata l’aveva intuito e in qualche modo annunciato. E infatti, appena qualche notte dopo, sarebbero partiti una serie di attacchi e disordini nelle banlieu svedesi che avrebbero animato una vera e propria rivolta metropolitana ordita e capeggiata da migranti, profughi e rifugiati.

Guerriglia urbana nel sobborgo chiamato “Piccola Mogadiscio”

La prima insurrezione urbana sarebbe esplosa a Rinkeby, sobborgo di Stoccolma non a caso ribattezzato “Piccola Mogadiscio” per la popolosa incidenza demografica di immigrati di origine somala, tra i quali spiccano – a detta dell’intelligence locale – numerosi “reclutatori” affiliati a pericolose organizzazioni jihadiste del calibro di Al Shabaab. L’innesco che fa esplodere e deflagrare la violenza dei rivoltosi è il tentativo della polizia di arrestare un sospetto spacciatore: praticamente la stessa miccia che fece esplodere la guerriglia urbana nelle banlieu parigine. Scoppia la protesta, gli agenti delle forze dell’ordine vengono bersagliati con pietre e mattoni, uno di loro resterà ferito. Lo scenario che scopnvolge la quiete notturna della tranquilla Stoccolma è quello già visto più e più volte nella capitale francese: uomini con il volto coperto da un passamontagna che danno fuoco alle auto, distruggono le vetrine dei negozi, saccheggiano tutto quello che possono. L’intervento di alcuni cittadini prova a bloccare la razzia e porre fino al caos violento, e per questo anche loro vengono aggrediti e scoraggiati.  Poi da Stoccolma, la rivolta si estende a macchia d’olio ad altre aree a rischio, vulnerabili e nel mirino dei volenti stranieri: Malmo in testa a tutte.

Un modello d’accoglienza pericolosamente fallimentare 

Ma nononostante tutto, correre ai ripari è un conto, e ammetterlo diplomaticamente la realtà, è un altro. Ed è la stessa stampa – almeno una parte di essa – come l’opionione pubblica svedese a riconsocere che il modello d’accoglienza messo in pratica in Svezia in teoria aveva la sua validità, forse, ma in pratica ha rivelato risvolti da incubo che hanno alimentato il criterio di un’ospitalità disordinata e resa ancora più caotica dalla mancanza di un sistema di integrazione funzionante successivo all’accoglienza. Uno stato delle cose che ha reso la moderna Stoccolma, esempio di welfare, un modello d’accoglienza fallimentare e e pericoloso. Ma riconoscerlo, per un Paese che si autodefinisce «superpotenza umanitaria», non è ancora possibile… 

 

 

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