9 febbraio 1941: Genova bombardata dagli inglesi. Ma Genoa-Juve si giocò

9 Feb 2017 15:15 - di Antonio Pannullo

“Tuonano i cannoni nemici, la morte arriva dal mare. Genova straziata cerca le vittime tra le macerie”, titolava il Secolo XIX, storico quotidiano ligure, dopo il feroce bombardamento navale della città a opera degli inglesi la mattina di domenica 9 febbraio 1941. Quel giorno era in programma l’attesissima partita Genoa-Juventus. Il comando britannico la chiamò Operazione Grog, ed era stata ideata non per colpire obiettivi militari o distruggere chissà quali depositi di armi e munizioni, o raffinerie, ma solo per dimostrare la vulnerabilità delle difese costiere italiane, peraltro nota, l’inefficacia della Marina militare, che infatti non riuscì a intercettare le 14 navi di Sua Maestà salpate da Gibilterra, e infine per scoraggiare Francisco Franco dall’idea di entrare in guerra a fianco dell’Asse. Tre giorni dopo, il 12 febbraio, era infatti previsto un incontro tra Franco e Mussolini in Italia. Il Duce voleva convincere il Generalissimo ad abbandonare la neutralità. Invece l’attacco colpì, come accadde sempre nei bombardamenti “alleati”, navali od aerei, quasi esclusivamente abitazioni civili e opere d’arte. In realtà Genova fu colpita molte volte durante la Seconda Guerra Mondiale, e anche duramente, a cominciare dall’altro bombardamento navale, o opera dei francesi, nel giugno precedente, che però causò un numero limitato di vittime e quasi nessun danno alle infrastrutture; fu colpita altre volte, dicevamo, ma quello che accadde il 9 febbraio 1941 è ancora vivo nella memoria della città: dopo la guerra si intitolò alle vittime anche una piazza, dove aveva perso la vita un bambino di due mesi, ma qualche anno dopo, inspiegabilmente, il nome fu cambiato. E’ l’odierna piazza Colombo. Forse per non ricordare quello che i nostri “alleati” avevano fatto alle nostre città e al nostro popolo.

A Genova fu tolto il nome delle vittime dalla piazza

Fu un autentico inferno: la Flotta H, comandata dall’ammiraglio James Fownes Sommerville, iniziò alle 8.14 del mattino a bombardare la città. Era partito il 6 da Gibilterra, e come detto gli incrociatori “Trento”, “Trieste” e “Bolzano” diretti da Messina a La Spezia, con l’ordine di intercettare il nemico in zona Baleari, non riuscirono neanche a vederlo. L’8 si mossero dalla Spezia anche le tre corazzate “Vittorio Veneto”, “Andrea Doria” e “Giulio Cesare”, ma passarono a 40 miglia di distanza dalla flotta inglese. Le sirene avevano suonato mezz’ora minuti prima, ma le incursioni reali fino a quel momento erano state solo 4, su una cinquantina di allarmi. Tuttavia i genovesi andarono nelle cantine, perché i ricoveri veri e propri ancora non erano stati allestiti: non si immaginava che il nemico – poi diventato amico – avesse fatto quel che poi fece, colpendo obiettivi civili al solo scopo di terrorizzare la nazione. £00 tonnellate di bombe, non ancora “intelligenti”, furono lanciate su Genova: una delle prime sfondò il tetto del Duomo, rimanendo inesplosa e in seguito oggetto di curiosità da parte di genovesi e stranieri. Ma le altre colpirono palazzi, strade, alberi, trasformando per mezz’ora la città in un inferno di fiamme, fumo e macerie. Le esplosioni furono udite a chilometri di distanza. Alla fine l’anagrafe contò 158 morti, 225 feriti e oltre 2500 senzatetto. Gli inglesi ebbero un solo aereo abbattuto, presso Tirrenia. La flotta H poté poi, alle 9,45, invertire la rotta e tornare tranquillamente a Gibilterra. L’ammiraglio Sommerville inviò un messaggio radio al comando con solo due parole: “missione compiuta”. Mentre a Genova Genoa e Juventus, usciti dai rifugi, si affrontavano davanti a migliaia di persone. Per la cronaca, il Genoa vinse 2 a zero.

(foto Grifoni in rete)

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