Paura al cinema: ci sono quelle col velo. Ma gli italiani sono i colpevoli?
L’episodio ha fatto un certo scalpore, e non poteva essere altrimenti. Il caso si è verificato a Torino il giorno di Capodanno: in un cinema gli spettatori hanno abbandonato la sala a causa della presenza di una famiglia marocchina e la proiezione è stata interrotta.
Souad Ghennam, che abita con la famiglia a Torino da 15 anni, stava scambiando con la figlia messaggi col cellulare. La figlia è infatti sorda. Poiché uno spettatore ha chiesto di non usare più il cellulare (cosa che al cinema è segno di maleducazione), Souad ha fatto dei gesti alla figlia per spiegarsi. Da qui è nata la psicosi, la fuga, l’allarme.
Ora la donna marocchina viene intervistata e vezzeggiata dai media. Giustamente si rammarica e si vergogna per quello che è successo. Ma non è la sola vittima di un contesto impazzito. Anche gli italiani, i torinesi, i cittadini comuni, costretti all’insicurezza da un manipolo di feroci terroristi che uccidono in nome di Allah, avrebbero diritto alla loro quotidiana dose di compassionevole solidarietà.
“Vorremmo poter vivere senza sospetti”, dice oggi Souad ai giornali (è stata intervistata su La Stampa e su Repubblica). E come non essere d’accordo con lei? E tuttavia è da ritenere che anche i torinesi che erano al cinema hanno in fondo la stessa aspirazione. E che l’episodio increscioso sia frutto di un equivoco e non di intolleranza o razzismo lo dimostra il fatto che nulla è accaduto prima che le due donne si facessero dei segnali tra loro (non erano sedute vicine) anche se era riconoscibile la loro origine etnica già prima dell’inizio del film.
Dice ancora Souad: “Prima erano pochi, poi sono scappati tutti. Sono arrivati i carabinieri che ci hanno chiesto di uscire. Loro mi dicevano di non preoccuparci ma io ricordo bene l’imbarazzo che ho provato. Vorrei vedere in faccia la persona che li ha chiamati e denunciarlo così chiederebbero i documenti anche a lui. Nessuno ci ha chiesto scusa dopo”. Ma quella persona ha agito per eccesso di zelo, dopo le stragi di Parigi, di Nizza, di Dacca, di Berlino, di Instabul. Può essere che in lui (o in lei) abbia agito anche il pregiudizio, può essere che abbia trovato “inquietante” il velo di Souad. E questo non va bene.
Ma la marocchina che vive in Italia da 15 anni non può non sapere che le cose sono cambiate da un po’ di tempo a questa parte. Non può non sapere che il clima di paura non è certo alimentato dagli italiani o dagli occidentali ma è semmai da loro subìto. E avrebbe forse potuto aiutare da parte sua anche un accenno, sia pur minimo, a chi compie mattanze abusando del Corano. Accenno che non c’è stato. E che invece avrebbe favorito la chiarezza, anziché far rientrare Souad e i suoi familiari nello stereotipo dei “musulmani buoni” oppressi dall’intolleranza.
I musulmani buoni dovrebbero lamentarsi non solo del razzismo ma anche del terrorismo che manipola la loro fede. Perché senza terroristi sui tir che uccidono innocenti, al cinema di Torino si sarebbe giunti alla fine del film senza alcun incidente, senza alcun equivoco, senza alcuna vergogna. E sarebbe stato un Capodanno migliore per tutti.