La tortura contro i terroristi «funziona»: ed è bufera sulle parole di Trump
Politicamente scorretto. Scomodo. Implacabilmente coerente: Donald Trump, dopo aver firmato due ordini esecutivi per far ripartire i lavori sugli oleodotti Dakota Access e Keystone XL, andando contro le decisioni prese dal suo predecessore Barack Obama e provocando dure proteste da parte delle organizzazioni ambientaliste e degli indiani d’America, che considerano quel territorio un’area sacra che dovrebbe rimanere zona franca. Assolutamente indifferente alle recriminazioni di schiere di liberal hollywoodiani, di femministe in piazza, scese da mezzo mondo, di ambientalisti inferociti e benpensanti sull’orlo di una crisi di nervi, tira dritto per la sua strada, senza concedere tregua o giustificazioni di sorta a nessuno. E così, a proposito di terrorismo jihadista, lancia l’ultima bomba e senza peli sulla lingua asserisce: nella lotta al terrorismo? Sono convinto che «la tortura assolutamente funzioni».
Trump, tortura contro i terroristi? «Assolutamente sì»
Una convizione verbalizzata senza correzioni diplomatiche o tagli politically correct dell’ultimo secondo in un’intervista rilasciata all’Abc news dopo che la stampa americana ha pubblicato una serie di bozze di nuovi ordini esecutivi sulla riapertura delle prigioni segrete della Cia e la ripresa dei cosidetti metodi di interrogatorio duro, a partire dal famigerato waterboarding. Non solo: a sostegno delle sue argomentazioni – che, come facilmente prevedibile, hanno immediatamente scatenato un polverone polemico-mediatico che ancora non smette di deflagrare – Donald Trump ha citato anche il parere di alcuni «alti ufficiali dell’intelligence», i quali, a sua detta, gli avrebbero assicurato che la tortura funziona. poi, quasi ad aggiustare il tiro e a rassicurare i più perplessi, ha aggiunto: «A riguardo, comunque, mi affiderò al giudizio del direttore della Cia, Mike Pompeo, e del capo del Pentagono, il generale Mattis. Mi affiderò a loro ed al mio gruppo, e se loro non vorranno, va bene, ma se saranno favorevoli a questa opzione io mi impegnerò a renderlo possibile, voglio che sia fatto tutto nell’ambito di quello che è legalmente possibile», ha detto ancora il presidente.
Trump, «Bisogna combattere il fuoco con il fuoco»
Del resto, come già ribadito più volte durante la campagna elettorale, Trump ha giustificato il ricorso a questi metodi puntando il dito contro la brutalità dello Stato Islamico: «Quando tagliano la testa dei nostri e di altri, solo perché sono cristiani in Medio Oriente; quando lo Stato Islamico fa cose di cui nessuno ha sentito dai tempi del Medioevo, cosa dovrei pensare del waterboarding? Per quanto mi riguarda, dobbiamo combattere il fuoco con il fuoco». Una convinzione che – a quanto dichiarato a caldo dai diretti interessati – avrebbe colto di sorpresa però gli stessi Pompeo e Mattis, tempestivamente messi all’angolo da Mark Warner, il capogruppo democratico del comitato intelligence del Senato che, su un possibile riutilizzo di metodi coercitivi duri, e del waterboarding in particolare, ha detto: «Intendo chiedere a Pompeo e Mattis di rimanere fedele a quando detto nella loro testimonianza giurata di rispettare la legge che vieta l’uso delle tecniche di interrogatorio rafforzato».