La lunga strada verso gli Stati Uniti d’Europa: realismo e “romanticismo”

2 Gen 2017 14:22 - di Lino Lavorgna

Il primo documento scritto in cui compare il termine Europa è il terzo dei trentatré inni omerici, dedicato ad Apollo, risalente all’800 A.C. Parlando di un tempio da edificare a Delo, il Dio del sole e di tutte le arti annuncia: “Qui ho deciso di costruire un tempio glorioso, un oracolo per gli uomini, e qui porteranno offerte pubbliche coloro i quali vivono nel ricco Peloponneso, coloro che vivono in Europa”. Europa è anche il nome della figlia di Agenore, re di Tiro, sedotta da Zeus, che la raggiunse sulla spiaggia della città fenicia dopo aver assunto le sembianze di un toro. L’episodio è narrato da secoli come “ratto di Europa” e presumibilmente manterrà la stessa dicitura anche nei secoli a venire, con il corollario della “violenza carnale” perpetrata dal sovrano degli Dei alla stupenda fanciulla. Ha poco peso, infatti, il pensiero isolato dell’autore di questo articolo, che in precedenti scritti e alcuni convegni ha invitato a guardare attentamente la corposa iconografia che rappresenta quel momento, tutta di altissimo pregio.

Gli archetipi della civiltà europea

I pittori, ciascuno per proprio conto e in epoche diverse, hanno avuto una più realistica percezione dell’incontro: nei dipinti non si vedono segni di violenza; i volti di Europa e delle ancelle appaiono sereni e sorridenti. Nessun ratto, quindi, ma solo un cortese invito a montare in groppa, entusiasticamente accettato dalla Principessa. Quale donna, del resto, farebbe storie sentendosi corteggiata da un Dio! E’ proprio insopportabile, inoltre, il solo associare, anche leggendariamente, il nome “Europa” a uno stupro. Furono proprio coloro che veneravano Zeus, del resto, a generare quella cultura senza della quale non si sarebbe mai formata la “nazione europea” così come oggi si presenta, anche nelle sue contraddizioni. Civismo, individualismo, cosmopolitismo, culto della conoscenza, democrazia, da elementi fondamentali della civiltà elladica ed ellenica sono stati assunti gradualmente quali archetipi della civiltà europea. Già Aristotele iniziò a differenziare gli europei dagli asiatici, sia pure con una chiave di lettura pretenziosa e superficiale. (I più curiosi possono sfogliare il libro settimo di “Politica”). Con l’impero romano si crea un forte elemento di coesione tra i popoli europei assoggettati e prende forma il diritto scritto come limite all’arbitrio dell’uomo: “Legum servi sumus ut liberi esse possimus”, pontificava Cicerone, non prevedendo la nascita di coloro che delle leggi avrebbero fatto strame proprio per negare la libertà agli altri. (Correttamente occorre dire anche che non si dovette aspettare a lungo prima che il suo monito iniziasse a essere vilipeso). L’altro elemento unificatore fu il cristianesimo, che creò un forte legame politico e spirituale tra i popoli. Con l’avvento di Carlo Magno si forma una nuova idea di Europa, anche se ancora oggi persiste il dilemma tra chi ritiene che l’impero carolingio fosse un’evoluzione dell’antico impero romano e chi invece lo codifica come prodromo dell’Europa moderna. Di sicuro, proprio con la successione carolingia, inizia quella spartizione dell’Europa che può configurarsi come prodromo di tanti problemi futuri.

Il primato dell’Occidente

Nel Medioevo il sentimento di unità europea assume una valenza essenzialmente religiosa e per Dante non vi sono dubbi circa il primato dell’Occidente sull’Oriente e il compito riservato all’Europa, addirittura per volontà divina, di formare un impero universale destinato a una missione comune di ordine, civiltà, armonia. Agli albori del quindicesimo secolo, Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa Pio II, conia il termine “Europeo”. Nel sedicesimo secolo, però, “l’idea Europa” registra un sensibile rallentamento. Profonde lotte intestine generano gli stati nazionali; il decadimento della morale “romana” scandalizza i popoli del centro-nord e anche i cristiani si dividono in cattolici e protestanti. La crisi è profonda, nonostante il consolidarsi dell’Umanesimo e del Rinascimento, correnti di pensiero letterario, filosofico e artistico sorte nel secolo precedente. Tra i più illustri esponenti di questo periodo vi è Erasmo da Rotterdam, che crede fortemente nell’Europa unita, ma solo sotto l’egida del cristianesimo: “Il mondo intero è una patria comune (dove per il mondo s’intende l’Europa cristiana), non gli inglesi, né tedeschi, né francesi; perché ci dividono questi stolti nomi, quando il nome di Cristo ci ricongiunge?”. Gli fa da spalla un altro eminente umanista e convinto europeista: lo spagnolo Juan Luis Vives, che nel 1529 scrive il “De concordia” ed esorta i popoli europei a trovare una più efficace coesione per respingere la minaccia ottomana. In Italia si leva forte il grido di Niccolò Machiavelli e Tommaso Campanella a favore della piena restaurazione dell’autorità papale.

Per descrivere il caos continentale del diciassettesimo secolo occorrerebbe un vero saggio: guerre, discordie politico-religiose e rivolte per l’indipendenza sembrano offuscare in modo irreversibile il sogno europeo. Fu proprio in quel periodo, invece, che il duca di Sully, ex primo ministro di Enrico IV di Francia, redige il “Gran Disegno” e prospetta una “Confederazione di Stati” composta da cinque monarchie elettive (Sacro Impero Romano Germanico, Stati Pontifici, Polonia, Ungheria, Boemia) e quattro repubbliche sovrane (Venezia, Italia, Svizzera, Belgio). La confederazione sarebbe stata retta da un “Consiglio d’Europa” e da un “Consiglio Generale”. L’inglese William Penn inventa un lasciapassare in grado di far viaggiare le persone attraverso gli stati d’Europa senza problemi, anticipando di molti secoli il futuro passaporto europeo. Gli eventi dal diciottesimo secolo in avanti hanno fortemente condizionato la società contemporanea: di fatto costituiscono la “nostra storia” e quindi è inutile ricalcarne le complesse vicende. E’ d’obbligo solo citare la dichiarazione di un membro dell’Assemblea Costituente francese nella seduta del 21 aprile 1849: “Giorno verrà in cui Francia, Italia, Inghilterra, Germania o non importa quale altra Nazione del continente, senza perdere le loro qualità peculiari e la loro gloriosa individualità, si fonderanno strettamente in una unità superiore e costituiranno la fraternità europea. Giorno verrà in cui le pallottole e le bombe saranno rimpiazzate dai voti, dovuti al suffragio universale dei popoli. Un Senato sovrano sarà per l’Europa quello che il Parlamento è per l’Inghilterra, la Dieta per la Germania, quello che l’Assemblea Legislativa è per la Francia. L’edificio del futuro si chiamerà un giorno Stati Uniti d’Europa. Giorno verrà in cui si vedranno questi due gruppi immensi, gli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti d’Europa, uno di fronte all’altro tendersi la mano attraverso i mari”. Il suo nome era Victor Hugo.

Radici cristiane d’Europa e laicismo

Questo excursus, che sintetizza il “sogno europeo” sin dai suoi albori, serve soprattutto a evidenziare gli elementi fondamentali per la costituzione di una federazione di stati sovrani configurabile come “nazione”. La definizione corrente, infatti, che vede nella nazione una comunità di individui che condividono alcune caratteristiche comuni come la lingua, il luogo geografico, la storia, le tradizioni, la cultura, l’etnia ed eventualmente un governo, non solo non è sufficiente a caratterizzare in modo compiuto il concetto di “Europa Nazione”, ma addirittura risulta ostativa: la lingua comune sarà un problema di non facile soluzione; la storia non ha ancora sanato vecchie ferite; all’interno di molti stati sono ancora forti le contrapposizioni tra entità regionali che aspirano all’indipendenza e governi centrali. La strada, inutile nasconderlo, è in salita. Una salita resa ancora più impervia da ciò che più chiaramente emerge in quanto innanzi scritto: il forte impulso religioso inferto ai passati progetti federativi. Sarebbe facile, ora, affermare che l’elemento religioso potrebbe costituire un valido elemento di coesione continentale, ma ciò significherebbe condizionare pesantemente il progetto federativo, ancorandolo a presupposti che presentano, contestualmente, una forza (il coinvolgimento di tutti i fedeli) e una debolezza (il limite rappresentato proprio da questa possibilità). Non dimentichiamo, del resto, che già nell’attuale costituzione europea, entrata in vigore il 1° dicembre 2009, è stato escluso il riferimento alle radici cristiane dell’Europa, privilegiando un laicismo ritenuto più in linea con il fluire dei tempi. Bisogna prestare molta attenzione a questo aspetto, che a suo tempo generò un vero conflitto tra la Chiesa e i Governi europei, con dichiarazioni infuocate e bellicose da parte del Vaticano. “La Chiesa in Europa si sente a casa propria e pertanto attende che le venga riconosciuta la cittadinanza europea. Le Chiese si aspettano di vedere riconosciuto giuridicamente il loro ordinamento proprio, in modo da sottrarsi all’arbitrio delle opzioni politiche del momento. La Chiesa dovrà sempre poter parlare di Dio a tutti gli uomini. Nessuno dovrà meravigliarsi di questa pretesa! Non può esistere una “Chiesa del silenzio”: sarebbe un controsenso, tanto più oggi che il Papa chiede che nell’Europa di domani vi sia ancora posto per Dio. (Mons. Jean-Louis Tauran, 14 maggio 2002). “Riconosco all’Italia, in virtù della sua storia, della sua cultura, della sua attuale vitalità cristiana, la possibilità di un grande ruolo per non far perdere all’Europa le proprie radici spirituali”. (Giovanni Paolo II, 21 maggio 2002). “Il futuro Trattato costituzionale dell’Unione Europea deve contenere un richiamo a Dio e al Trascendente”. (Frase estrapolata dal documento della Commissione delle Conferenze episcopali dei vescovi dell’Unione Europea, 22 maggio 2002). Il laicismo insito nella carta costituzionale, lungi dal voler limitare i diritti della Chiesa, tende a salvaguardare quelli di tutti, ossia anche dei non credenti e solo in tal guisa va concepito. Ogni altro riferimento, in particolare alla luce della realtà attuale, si configurerebbe come una nuova “guerra di religione” e ciò va evitato assolutamente. Gli Stati Uniti d’Europa, pertanto, devono essere caratterizzati da uno spirito che contenga innanzitutto la volontà di stare insieme per essere “più forti” in tutto, preservando le peculiarità culturali. “Uniti nella diversità”, l’attuale motto dell’Unione Europea, è quanto mai azzeccato. Il sogno di inglobare tutti gli stati del continente nel progetto federativo, sin dai suoi primi passi, è meraviglioso, ma irrealizzabile. Sotto questo profilo anche gli europeisti più romantici e incalliti, come l’autore di questo articolo, hanno il dovere di essere realisti. I limiti e i problemi dell’attuale Unione sono ben noti. Travasarli anche in un progetto federativo sarebbe da folli.

Nella prima fase, pertanto, una federazione che possa realmente configurarsi come elemento aggregante può essere composta dai seguenti stati: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia – tutti membri dell’attuale Unione Europea – ai quali andrebbero aggiunti: Andorra, Islanda, Liechtenstein, Moldavia, Monaco, Norvegia, Regno Unito, San Marino, Svizzera. Poi, per gli altri stati, se son rose fioriranno, perché già così le spine sono tante. 

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