Putin e la Russia guardano con speranza al nuovo corso di Donald Trump
Che Franklin Delano Roosevelt «si rivolti nella tomba», come dice Vladimir Putin, è tutto da dimostrare. E anche se così fosse, ci sarebbe da chiedersi se il sommovimento sepolcrale del presidente del New Deal sia causato dal fatto che «i democratici americani hanno dimenticato il significato del loro nome» , come sostiene il leader russo, o se Roosevelt si agiti al solo pensiero che un isolazionista come Trump si insedi alla Casa Bianca. Come che sia, raramente nella storia dei rapporti tra Mosca e Washington un cambio di stagione politica negli Usa ha suscitato al Cremlino tante attese e aspettative, si legge su “il Corriere della Sera“.
Putin e la Russia guardano a Trump
Le aperture di credito in campagna elettorale, gli encomi da presidente eletto della forte leadership di Putin, la restituzione a Mosca di un ruolo globale, di fatto promessa da Trump, hanno toccato corde profonde nella suscettibilissima autopercezione dei russi. Di più, segnale inequivocabile è la nomina al Dipartimento di Stato del capo di Exxon Mobil e buon amico di Putin, Rex Tillerson. Ma a mandar su di giri l’establishment moscovita non è solo la prospettiva di veder infine soddisfatto l’etemo bisogno del rispetto, dopo il quarto di secolo seguito alla scomparsa dell’Urss e vissuto da paria. In realtà. Putin e i suoi diplomatici si sono preparati con cura all’appuntamento con Donald Trump, decisi a non sprecare l’occasione, in parte insperata, ma anche certi che l’ennesimo reset con Washington non sarà per sempre.
La paura di Mosca è che Trump duri poco
Su quali dossier intende puntare il Cremlino? Quali obiettivi Vladimir Putin conta di poter centrare? Cosa vuoi dire concretamente «far compiere un salto di qualità ai nostri rapporti», come ha scritto il presidente russo nella lettera inviata a Trump per le feste di fine anno? E soprattutto, quanto e quando peseranno sul disgelo in fieri le tante contraddizioni strategiche esistenti tra i due Paesi? «Il cambiamento più importante per Putin è che con Trump alla Casa Bianca la politica estera americana cancellerà dalla sua agenda il mantra del cambio di regime», spiega Dmitrij Suslov, direttore del Centro di Studi europei alla Scuola superiore di Economia, uno dei pensatoi più vicini al Cremlino. Secondo lo studioso, infatti, il regime change è stato il vero tema di fondo dell’azione non solo dell’Amministrazione Bush, ma anche della presidenza Obama: «Iraq, Siria, Libia, Ucraina, con modelli diversi, in modo scoperto o coperto, l’obiettivo era sempre quello. Perfino verso la Russia lo scopo ultimo, anche se non dichiarato, era di creare le condizioni per la caduta di Putin. Ora questo è finito e si può ripartire». Convergenze Una piena cooperazione in Siria e in Medio Oriente è il primo corollario di questa premessa. «La lettura dei rispettivi interessi nella regione è simile: lotta al jihadismo radicale in tutte le sue forme, siano Isis o i nipotini di al-Qaeda come al Nusra», dice Suslov, secondo cui Mosca è pronta ad «azioni militari congiunte e a condividere l’intelligence con gli americani». Poi vengono la ferita aperta dell’Ucraina e le tensioni sul fronte Est della Nato. «Trump considera inutile un confronto con la Russia nell’Europa centro-orientale. E a differenza di Hillary Clinton e dei democratici vede nell’Ucraina un problema, non un’opportunità», dice Sergei Markov, analista, già deputato di Russia Unita alla Duma. Trump abolirà le sanzioni? Markov ne è sicuro. Suslov è più cauto