Nessuno lo dice, ma Renzi ha perso anche per la legge sulle nozze gay
Ai cinque motivi elencati sul Corriere della Sera da Ernesto Galli della Loggia per spiegare la debacle di Matteo Renzi al referendum, ci permettiamo di aggiungerne un sesto rimasto finora in ombra: la legge sulle nozze gay. Il premier ne fece una bandiera di civiltà quando era chiaro persino a un bambino che si trattava di una spregiudicata manovra politica finalizzata a fidelizzare la sinistra interna e a saldarla al corpaccione renziano egemone nel Pd. Ma fu unità effimera, che durò giusto il tempo di far saltare qualche tappo di spumante in onore della legge Cirinnà. Poi, passata la festa, fu puntualmente gabbato lo santo.
Sulle nozze gay il premier ha interrotto la marcia verso i moderati
In compenso, la spregiudicata manovra aveva alienato a Renzi le simpatie che fino a quel momento conquistate nei settori moderati dell’elettorato. Ma tant’è: Renzi si sentiva garantito dal non-interventismo delle distratte gerarchie cattoliche e snobbò, fino a sottovalutarla, la piazza del Family day. Un errore fatale. Già, perché la manifestazione di fine gennaio al Circo Massimo era cosa diversa rispetto a quella “ruiniana” di dieci anni prima. A quella folla imponente radunata da Massimo Gandolfini contro la legge introduttiva delle nozze gay mancava sì la benedizione dei vescovi, ma questo ne rendeva più “autentica” la rabbia e i propositi di rivincita. A sinistra se ne accorse Giuseppe Vacca, il presidente dell’istituto Gramsci non uno qualsiasi. Ma la sua voce rimase del tutto inascoltata quando diffidò Renzi dallo sfidare i sentimenti più profondi della nazione. Non che la situazione a destra fosse più incoraggiante. Tranne alcune eccezioni, qui si preferì tenere un profilo basso quasi che la “questione familiare” non fosse in grado di scaldare i cuori come invece riesce alla questione migratoria o a quella fiscale. Un abbaglio: insieme al sovranismo nazionale e al neoprotezionismo sociale, la difesa della famiglia naturale è infatti il terzo pilastro delle nuova identità e delle nuove insorgenze con cui l’Occidente reagisce allo sradicamento globalista.
Il voto religioso determinante per la vittoria di Trump
Lo dimostra indirettamente una lettura meno pigra e convenzionale della vittoria di Donald Trump, alla cui affermazione ha contribuito in misura notevole il voto delle comunità religiose, comprese la cattolica, la meno scontata dal momento che negli Stati Uniti quella religione è professata prevalentemente dagli immigrati ispanici, il segmento etnico in teoria elettoralmente più distante dal neopresidente. È la prova che al tempo di una Chiesa fortemente secolarizzata e mostratasi in fondo indifferente all’introduzione delle nozze gay, le comunità a spiccata valenza religiosa tendono ad autorappresentarsi e a scegliere elettoralmente chi almeno cerca di opporsi a questo stravolgimento delle antiche certezze. Nessuno deve stupirsene: la posta in gioco è la difesa di una civiltà, quella occidentale, che – piaccia o meno – per quello che ha dato può a ragione sentirsi ancora in credito con la storia.