Mps, se fallisce l’aumento di capitale da 5 miliardi ecco chi rischia e quanto

19 Dic 2016 17:01 - di Paolo Lami

Burder Sharing o Bail-in. E’ dietro a questi due oscuri termini tecnici che si nasconde il destino di chi ha creduto, sbagliando, nella reputazione di Mps, ovvero  Monte dei Paschi di Siena.
Correntisti e possessori di cassette di sicurezza, detentori di Fondi Comuni o di Gestioni patrimoniali, azionisti, obbligazionisti subordinati o obbligazionisti senior.

La roulette inizia a girare per tutti in questa settimana cruciale per Mps. Oggi è, infatti, partita l’operazione per l’aumento di capitale da 5 miliardi della banca di Siena.
E, nel caso l’operazione dovesse fallire, si aprirebbero due scenari. Il primo prevede il possibile intervento dello Stato. Con una ricapitalizzazione che comporterebbe la cosiddetta “burden sharing“, la ripartizione delle perdite con i privati. Oppure potrebbe scattare il bail-in. E cioè un salvataggio tutto a carico di azionisti, obbligazionisti e correntisti.

Ecco, dunque, cosa potrebbe succedere ai diversi portatori di interesse nei confronti della banca senese nelle diverse ipotesi ancora aperte.
I titolari di conto corrente sono gli ultimi ad essere coinvolti e lo verrebbero solo in caso di bail-in per chi ha depositi sopra i 100.000 euro e solo per la parte superiore a quella soglia.
Chi ha una cassetta di sicurezza, così come i titolari di conto titoli, non corre, invece, alcun rischio perché la banca svolge il ruolo di custode dei beni o degli investimenti.

Quanto ai detentori di fondi comuni o di gestioni patrimoniali, in questi casi non c’è un vero e proprio rapporto di credito diretto con Mps. Nel primo caso il patrimonio dei fondi è separato da quello dell’istituto. Mentre, nel secondo caso, la banca ha, semplicemente, una delega per la gestione.

Ma quelli che, veramente, rischiano di più sono gli azionisti. Se anche il salvataggio privato riuscisse, è più facile che le nuove azioni siano emesse a un prezzo vicino al minimo di 1 euro che non a quello massimo di 24,9 euro, “azzerando” così, di fatto, il capitale esistente. In questo caso l’attuale valore della banca potrebbe scendere fino a 29 milioni di euro.
Il valore delle attuali azioni risiede nel diritto di vedersi attribuita la tranche junior della cartolarizzazione che dovrà cercare di recuperare 27,7 miliardi di sofferenze di Mps. Ma a loro andranno solo i soldi che verranno recuperati una volta rimborsate le tranche senior e mezzanine. Dunque un valore molto incerto, il cui fair value, il valore equo, è stato quantificato in 427 milioni di euro da Mps. Sia in caso di burden sharing che di bail-in, gli azionisti sarebbero i primi a pagare perdendo tutto.

Fra i titolari di bond gli obbligazionisti subordinati sono quelli più a rischio di perdite. Nel caso in cui dovesse riuscire il salvataggio privato chi convertirà si troverà in mano titoli Mps, esponendosi alle incertezze sul rilancio della banca, mentre chi non convertirà conserverà le proprie obbligazioni e verrà rimborsato a scadenza.
Se, però, le conversioni fossero troppo risicate Mps potrebbe non trovare i cinque miliardi necessari per evitare l’intervento dello Stato con il conseguente “burden sharing“.
In tal caso i bond subordinati verrebbero comunque convertiti in azioni, in questo caso forzatamente, ma a un rapporto di cambio inferiore a quello offerto dalla banca, che darà azioni per un controvalore compreso tra l’85 per cento e il 100 per cento del valore nominale dei bond.

Da qui il dilemma tra conversione e non conversione di cui sono prigionieri gli obbligazionisti, a partire da quelli reta.
In caso di “burden sharing“, i 40 mila piccoli risparmiatori che hanno sottoscritto oltre 2 miliardi di bond subordinati Mps possono anche sperare in un ristoro da parte dello Stato, che dovrà però essere compatibile con le regole europee, ad esempio provando che c’è stato un caso di “misselling“, cioè di vendite inappropriata a soggetti che non erano in grado di cogliere i rischi dei titoli che andavano ad acquistare.

Una procedura dagli esiti incerti e da cui sarebbero esclusi gli investitori istituzionali, che hanno in mano altri 3 miliardi di bond. Alla fine sono gli obbligazionisti più garantiti, che potrebbero essere chiamati a contribuire al salvataggio, comunque dopo azionisti e obbligazionisti subordinati, solo in caso di “bail-in“. Non corrono rischi se il salvataggio privato andrà in porto e neppure in caso di “burden sharing”.

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