Turchia ed Europa, l’eterno nodo di Gordio e l’ira funesta di Erdogan

29 Nov 2016 10:15 - di Lino Lavorgna

La decisione del Parlamento europeo di sospendere il negoziato per l’adesione della Turchia all’Europa ha scatenato l’ira di Erdogan, che minaccia di riversare sul continente milioni di profughi. A riflettere sul perché si sia giunti a tanto e su cosa rappresentino, agli occhi del mondo, i suoi metodi, non pensa proprio. A dirla tutta, invece, la risoluzione del Parlamento Europeo, che non ha un valore vincolante, è anche troppo blanda, in funzione di ciò che realmente accade in Turchia in tema di violazione dei diritti civili, a prescindere dalla possibile reintroduzione della pena di morte, che chiuderebbe definitivamente la partita, essendo interdetto l’ingresso ai paesi nei quali è praticata.

La Turchia tra storia e la leggenda

Il problema della Turchia nei suoi rapporti con l’Europa risale alla notte dei tempi. La leggenda è nota. Nell’antica Anatolia il popolo dei Frigi costruì una nuova città, gettando le basi per un proprio stato, politicamente strutturato. L’oracolo di Telmesso (l’attuale Fethiye), predisse che il primo uomo che vi fosse entrato su un carro trainato dai buoi sarebbe diventato re. La bella sorte toccò a un contadino di nome Gordio. La cittadina, che corrisponde all’attuale Yassihüyük, prese il suo nome. Il figlio adottivo di Gordio, Mida (proprio quello che trasformava tutto in oro), divenuto re a sua volta, legò il carro a un palo con una corda annodata in modo così complesso da renderne impossibile lo scioglimento, sancendo con una profezia “l’indissolubilità del potere Frigio”: solo chi fosse stato in grado di sciogliere il nodo avrebbe dominato l’intera Asia Minore. Per oltre quattro secoli il carro restò ben attaccato al palo. Nel 333 A.C., Alessandro Magno, dopo un rapido e infruttuoso tentativo, recise il nodo con la spada e iniziò il suo cammino di conquistatore. L’episodio, che mischia storia e leggenda, è il fulcro di un vecchio testo scritto a due mani da Ernst Jünger e Carl Schmitt: “Il nodo di Gordio”. Varrebbe la pena leggerlo (ma attualmente è introvabile in italiano) per meglio comprendere ciò che oggi ci spaventa.

Lo scenario europeo

Il destino dell’Oriente e dell’Occidente è indissolubilmente legato a quella profezia. Chiunque tentasse di “amalgamare” le due anime del mondo, dovrebbe fare i conti proprio con la scure che recise il nodo con la forza, rivelando una verità incontrovertibile: mai Oriente e Occidente sono riusciti a prevalere l’uno sull’altro. Ogni tentativo, in passato, dall’una e dall’altra parte, ha solo creato disfacimenti immani sui fronti esterni e su quelli interni. Ritorneremo a parlare del confronto tra Oriente e Occidente, riservando quest’articolo esclusivamente al ruolo della Turchia nello scenario europeo, alla luce della dicotomia sulla sua volontà di entrare, mantenendo nel suo seno, contestualmente, metodiche comportamentali che ci fanno inorridire.

La Turchia e i fronti contrapposti

La Turchia è un problema per l’Europa, perché troppo abituata a giocare partite su fronti contrapposti. Importante alleata militare nello scacchiere Nato, intrattiene rapporti altalenanti con l’eterna rivale Russia, recentemente sanati più che altro per tutelare i rispettivi interessi di natura commerciale, come traspare eloquentemente dalla dichiarazione rilasciata dal Ministro degli Esteri Çavuşoğlu: «Credo che la nostra cooperazione economica sia perfettamente complementare. La Russia è fornitore di energia di base alla Turchia, mentre a sua volta la Turchia può rappresentare il maggior fornitore di frutta e verdura al mercato russo». Çavuşoğlu ha poi aggiunto che Ankara offre anche migliori condizioni rispetto ad altri paesi nel settore del turismo, e Mosca predilige l’assunzione dei costruttori turchi per i progetti più importanti. Non è un mistero, poi, che Putin spinge affinché la Turchia esca dalla Nato e sicuramente l’argomento è stato trattato anche nella “pacifica” conversazione telefonica intercorsa tra i leader dei due paesi. Tentativo di cooptare la Turchia su uno scacchiere asiatico con una divisione delle aree di influenza? Molto probabile. La tentazione di Erdogan in tal senso è forte e questo giustificherebbe anche il suo disinteresse su ciò che accade in Europa, al di là delle proteste formali sull’esito della risoluzione. Del resto sa bene che da questo lato la strada è in salita, a prescindere dalla massiccia repressione che ha fatto seguito al tentativo di golpe del luglio scorso. Gli insanabili conflitti interni e una popolazione a maggioranza musulmana (il 99%) fanno storcere il muso agli Europei più saldamente legati alle radici cristiane e fanno venire il mal di testa agli analisti meno coinvolti emotivamente, i quali hanno il difficile compito di elaborare complesse indagini sociologiche: quanti sono, tra gli oltre settanta milioni di musulmani, coloro che godono nel vedere i fondamentalisti colpire uomini e simboli della Civiltà Occidentale?

I nodi di Gordio amplificati a dismisura

Oggi i “nodi di Gordio” da sciogliere si sono amplificati a dismisura. Le mire egemoniche ed espansionistiche della Turchia, che tra l’altro costituiscono un vizio antico, sono state chiaramente spiegate dall’ex primo Ministro Ahmet Davutoğlu già nel 2001, nel suo poderoso volume di circa 700 pagine, “Profondità Strategiche”, purtroppo mai tradotto in italiano, ma disponibile in Inglese. La Turchia deve diventare un attore decisivo in Medio Oriente, smarcandosi dall’ombra statunitense, necessaria un tempo per proteggersi dalla minaccia sovietica. La vocazione espansionistica prevede otto aree d’influenza: Balcani, Mar Nero, Caucaso, Caspio, Asia Centrale, Golfo Persico, Medio Oriente e Mediterraneo. Porte aperte ai cittadini degli ex territori imperiali, con un invito che più chiaro ed emblematico non può essere: “Per tutti i musulmani balcanici, la Turchia è un porto sicuro. L’Anatolia vi appartiene, fratelli e sorelle di Bosnia. E state certi che Sarajevo è nostra”. Se a questo aggiungiamo le forti relazioni con il principale partner commerciale, la Germania; i rapporti con i nemici storici, Russia e Iran, in nome degli interessi comuni (pecunia non olet, come ben dimostrano le diatribe sul petrolio venduto dall’Isis) e, come già detto, la manifesta volontà di cavalcare due scenari – “La Turchia può essere europea in Europa e orientale all’Est, perché siamo entrambe le cose” – abbiamo, allo stesso tempo, un quadro “chiaro e scuro” sul paese che chiede di entrare in Europa. Un bel casino, aggravato da altri aspetti che per noi occidentali rasentano la barbarie, fugando ogni dubbio sul possibile processo d’integrazione. Nel 2015 si è celebrato il centesimo anniversario del “Genocidio Armeno”: oltre 1.500.000 persone trucidate dai “Giovani Turchi”, sempre afflitti dal sogno della “Grande Turchia”. Il mondo intero ancora aspetta il riconoscimento del genocidio, di cui in patria è vietato parlare, pena la galera. Le vessazioni subite dai Curdi sono sotto gli occhi di tutti, anche se la terribile storia di quell’antico popolo è ancora poco nota ai distratti occidentali.
In Turchia il rispetto dei diritti civili e la libertà di stampa sono “da sempre” fortemente compromessi. La donna vive ancora in uno stato di profonda sottomissione. Tempo fa fecero il giro del mondo le “gaffe” dell’ex vice-premier Bülent Arinç, per il quale le donne non devono ridere in pubblico, allo scopo di difendere i valori morali di decenza e castità e possono essere tacitate con un caustico: “Stai zitta tu, che sei donna!”. Nell’agosto del 2014, una signora che aveva osato indossare i pantaloni e sedere in auto accanto a un uomo, è stata definita dai magistrati “una provocatrice” e pertanto le coltellate ricevute dall’ex marito sono state giudicate con le attenuanti, determinando uno sconto di pena di ben 9 anni rispetto a quanto chiesto dalla Procura. Lo stesso premier ha più volte sostenuto che “le donne non dovrebbero lavorare, ma stare a casa a generare almeno tre figli”. Si potrebbe continuare all’infinito, ma il concetto è chiaro. Esistono tante brave persone in Turchia, che pagheranno un prezzo alto per una maggioranza che vive in netto ritardo con la storia. Ma fin quando gli oppositori di un sistema marcio e ben radicato, non riusciranno a creare i presupposti per un radicale salto verso l’affermazione dei più consolidati principi democratici, le porte della Grande Madre Europa dovranno restare ben chiuse. Ne riparleremo fra un migliaio di anni, ma forse ripeteremo le stesse cose.

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