La leggenda di Tokyo Rose, la ragazza che combatté i Marines con la radio
Nel film Il ponte sul fiume Kwai, si vede una squadra di demolizione americana mentre ascolta una trasmissione giapponese di Tokyo Rose. È noto che durante la Seconda Guerra Mondiale esisteva anche una guerra delle radio: sia i tedeschi sia gli americani sia i giapponesi trasmettevano nella lingua del nemico delle rubriche tese a fiaccare lo spirito dei soldati. Gli annunciatori, più spesso annunciatrici, parlavano nella lingua del nemico e spesso trasmettevano informazioni false, invitando sempre i soldati a smettere di combattere. Qualcosa del genere avvenne anche nella Grande Guerra, quando gli austriaci da una trincea a un’altra cercavano di demoralizzare i nostri fanti. Una di queste annunciatrici, passate alla storia anche se in Italia pressoché sconosciuta, era Tokyo Rose, la Rosa di Tokyo, una nippo-americana di nome Iva Ikuko Toguri, nata e cresciuta negli States, che le circostanze della vita portarono a quel ruolo. Dopo la resa giapponese, fu arrestata, processata, condannata dai tribunali americani. Ma la notizia è che Tokyo Rose fu condannata sulla base di testimonianze false di due giapponesi che furono ricattati e minacciati dagli americani. Il fatto si seppe, e il presidente Gerald Ford concesse il perdono presidenziale alla propagandista Giap.
Tokyo Rose fu poi condannata a dieci anni
Nata a Los Angeles nel 1916 da una famiglia di immigrati giapponesi, la Toguri si laureò in zoologia all’università della California nel 1939 e si sa che l’anno successivo votò per i repubblicani. Nel luglio 1941 il bivio che segnò la sua vita: partì per il Giappone per trovare una parente malata e probabilmente anche per studiare medicina. Ma dopo Pearl Harbor fu costretta a rimanere in Giappone. Costretta a trovar elaboro, si impiegò come dattilografa a Radio Tokyo. Nel novembre del 1943 iniziò a condurre la rubrica The Zero Hour, mirata a demoralizzare i soldati Usa. Lei all’inizio aveva scelto il soprannome di Orphan Annie, mutuandolo dal popolare fumetto americano, ma i marine americani presto la rinominarono Tokyo Rose, e il nomignolo le rimase per sempre. Si rivolgeva a loro come «la vostra più amichevole nemica». Dopo la resa incondizionata del Giappone, due giornali americani offrirono a Tokyo Rose duemila dollari (lo stipendio di un anno in Giappone) per un’intervista, e lei ovviamente accettò. Ma era una trappola: gli americani la arrestarono e la rinchiusero in carcere a Yokohama per un anno. In tutto questo tempo né lo Stato maggiore Usa né l’Fbi riuscirono a trovare le prove del suo tradimento. Liberata e rimasta in Giappone, fu sottoposta a un linciaggio mediatico da parte della stampa americana e fu condotta a San Francisco dove fu processata per alto tradimento. Il processo fu lunghissimo e costosissimo (5 milioni di dollari attuali) e per la condanna furono decisivi due suoi ex supervisori giapponesi a Radio Tokyo, che poi si scoprirà essere stati minacciati dagli americani e costretti a rendere falsa testimonianza e spergiuro. Nel 1949 fu condannata a dieci anni di reclusione. Rinchiusa nella prigione federale di Alderson, in Virginia, fu rilasciata sette anni dopo sulla parola. Uscita, si mise a fare la commessa di negozio. In questi anni aveva subìto un divorzio e la perdita di un figlio appena nato. Ma nel 1976 un giornalista del Chicago Tribune scoprì – e rivelò – che l’Fbi aveva minacciato i due testimoni di arresto qualora non avessero testimoniato contro Tokyo Rose. Nel 2006 ottenne il perdono presidenziale e la cittadinanza americana: ma il 26 settembre di quello stesso anno morì. Su di lei sono stati scritti articoli, canzoni, realizzati documentari, due film, e in molte pellicole sulla guerra del Pacifico le sue trasmissioni vengono evocate.