Arbitri, Nicchi rieletto per la terza volta ma si scatena una guerra fra bande

24 Set 2016 16:15 - di Paolo Lami

Sul campo sono (o dovrebbero essere) – per dettato istituzionale – rigorosi, compassati, dotati di inscalfibile self control. Ma fuori da quelle quattro linee che ogni settimana catalizzano l’attenzione di buona parte dell’Italia calcistica, gli arbitri italiani se le danno di santa ragione. Sia pure dialetticamente. E’ quello che sta succedendo in queste ore all’Hilton di Fiumicino dov’è in corso una infuocata Assemblea elettiva dell’Aia, l’Associazione italiana arbitri. In gioco c’è la poltrona di presidente dell’Associazione, una carica che porta con se visibilità, potere e prestigio quel tanto che basta per gettare alle ortiche, più che sui rasati prati di Serie A, savoir faire, modi da gentlemen e compostezza britannica sostituiti da accuse al veleno, rinfacci, critiche feroci e insinuazioni Prendiamo, per esempio, il presidente uscente dell’Associazione italiana arbitri, Marcello Nicchi. Che scopre che il suo (ex)-amico Stefano Braschi, ex-arbitro ed ex-designatore di Serie A, è ora schierato contro di lui accanto al suo sfidante, Antonio Zappi.
«Ringrazio Stefano Braschi – gli rinfaccia con ironia e un misto di rabbia Nicchi – tu sai quanto ho fatto per te, quando tornato dal Siena nessuno ti voleva e io ti ho imposto a tutti perché credo nelle persone e nelle tue qualità. Te ne ho dato atto anche in tutte quelle nottate in cui siamo stati a parlare di tutto e ti ho anche gratificato a livello economico. Oggi io mi sarei aspettato che se tu avessi avuto da dirmi qualcosa me lo avresti detto. Sono scelte che non condivido nei modi e nei tempi, ma va bene così», sfuma amaro il presidente uscente che, comunque, viene riconfermato con una percentuale bulgara, al suo terzo mandato.
«Credo che questa associazione – gli replica l’ex arbitro ed ex designatore della Serie A – abbia bisogno di un motore diverso, le regole non si fanno ad personam: io me ne sono dovuto andare dopo quattro anni da designatore, perché il presidente no? È sbagliato sentirsi immortali, io sono fedele alle idee, non alle persone. La logica è la logica e l’affetto è l’affetto. Per quanto mi riguarda ti vorrò sempre bene presidente, ma la logica mi dice che è arrivato il momento di cambiare».
«Dopo Lewis c’è stato Bolt, dopo Bolt ci sarà un altro – ci mette il carico da undici lo sfidante Antonio Zappi – Servono idee nuove, sogni nuovi, forze nuove. Sto proponendo un nuovo modo di pensare, vogliamo dare a tutti arbitri la possibilità di regalare veramente un sogno»
Ma Nicchi ha un altro sassolino nella scarpa da togliersi  prima di incassare la riconferma: «Non capisco perché si voglia ancora continuare ad insistere sulla questione del terzo mandato e delle percentuali. Se la Ferrari vince due campionati del mondo non manda via gli ingegneri. Francesco Totti gioca fino a 40 anni. Oggi non ci sono leggi o regolamenti che pongono limiti temporali. Quando li metteranno, ne prenderemo atto. Ma oggi la democrazia dice che ai vertici dell’azienda debba esserci qualcuno capace. Non pretendo che sia così per me, ma qualcosa di buono pretendo che mi sia riconosciuto». Le polemiche girano intorno alla modifica del regolamento del 2014 che prevede l’abbassamento del quorum di rielezione dal 76 per cento al 55 per cento per la rielezione al terzo mandato.
«Se verrò eletto – gli replica Zappi rivolgendosi ai 329 delegati Aia – uno dei miei primi atti sarà la nomina di una commissione chiamata a limitare a due i mandati».
Alla fine, però, tutto resta tale e quale. Nicchi viene riconfermato presidente, come da previsioni, con quasi il 72 per cento dei voti, 242 contro i 95 del suo sfidante.
I guantoni possono tornare negli armadietti. Si rispolverino le giacchette nere.

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