L’arma segreta di D’Ascanio: ecco come l’Italia avrebbe vinto la guerra

5 Ago 2016 17:06 - di Antonio Pannullo

Esattamente 35 anni fa moriva a Pisa uno dei più geniali inventori che l’Italia abbia mai avuto. Corradino D’Ascanio è passato alla storia come l’inventore della Vespa, cosa che peraltro realizzò, ma fu solo una delle tante invenzioni di questo brillante quanto incompreso ingegnere di Popoli. Tra l’altro, se qualcuno avesse creduto nell’elicottero, forse sarebbe potuta diventare la nostra arma segreta che certamente avrebbe condizionato le sorti della guerra. Così come i suoi elicotterini per irrigare i campi, i progenitori dei droni odierni, nei quali nessuno credette. Era troppo avanti per i suoi tempi, proprio come Leonardo da Vinci. Nato nel 1891, fin da piccolissimo fu attratto dalla scienza aeronautica, che allora era ai suoi esordi. Nel 1906, dopo il volo dei fratelli Wright, progettò e collaudò una specie di deltaplano che fece volare nelle colline abruzzesi. Iscrittosi al prestigioso Istituto regio superiore di Ingegneria di Torino, si laureò nel 1914. In quello stesso anno di arruola volontario nell’Arma del Genio. Durante la guerra installò la prima radio su un veicolo e contribuì alla modifica di decine di biplani. Nel 1917 si sposò con Paola Paolini, nipote del generale Giuseppe, Medaglia d’Oro al Valor militare, e nel 1928 si trasferì negli Stati Uniti per la Costruzioni aeronautiche Pomilio. Si licenziò e aprì un’altra società insieme con Ugo Veniero D’Annunzio, anch’egli ingegnere, figlio di Gabriele, col quale progettò un piccolo velivolo spinto dal motore di una moto Harley Davidson. Nessuno credette in questo esperimento e D’Ascanio nel 1919 tornò in Italia, dove si adattò a fare l’ingenere civile aprendo uno studio tecnico a Popoli. In quegli anni realizzò molte strutture e brevettò alcune nuove invenzioni.

D’Ascanio conquistò tre record con gli elicotteri

Ma il volo era la sua idea fissa: verso la metà degli anni Venti trovò un uomo che credette entusiasticamente nel progetto dell’elicottero, ma anche lui avrebbe meritato maggior fortuna: era il barone Pietro Trojani di Pescosansonesco che avviò col suo patrimonio una società aeronautica. Dal 1925 al 1930 D’Ascanio progettò e realizzò due prototipi di elicottero, il D’AT 1 (D’Ascanio-Trojani) e il D’AT 2, che però volarono a pochi metri e poi precipitarono. Ma erano solo gli inizi: D’Ascanio costruisce un elicottero più perfezionato, il D’AT3, commissionato dal ministero dell’Aeronautica e realizzato nelle officine del Genio a Roma. Con questo velivolo D’Ascanio conquistò tre record che per molto tempo rimasero imbattuti. Nell’ottobre del 1930 il maggiore Marinello Nelli – il primo pilota in ssoluto a innalzarsi in volo verticale della storia – ottiene i record di durata del volo con ritorno senza scalo, distanza in linea retta senza scalo, altezza sul punto di partenza. Fu il primo elicottero moderno, e la notizia si sparse in tutto il mondo in poco tempo. Tutte le principali nazioni brevettarono il velivolo. La cosa straordinaria è che il ministero dell’Aeronautica e lo stesso capo del governo Mussolini si disinteressarono dell’elicottero. Era il 1930 e se si fossero investiti soldi e risorse sull’elicottero nei successivi dieci anni, le cose sarebbero potute andare diversamente. Fu uno dei tanti abbagli tattici del fascismo, che non riuscì ad antivedere le enormi possibilità – anche belliche – di quella macchina. Ma i rubinetti si chiusero, i soldi di Trojani si esaurirono e D’Ascanio si trovò in ristrettezze economiche. Ma il suo genio lo salvò ancora: nel 1932 la Piaggio, capite le potenzialità dell’ingegnere abruzzese, lo chiamò per fabbricare le eliche degli aerei. Alla Piaggio non interessavano gli elicotteri ma D’Ascanio continuò a progettarli. Ben diversamente andò a Igor Sikorsky, ucraino naturalizzato statunitense, che invece convinse le autorità americane a finanziare i suoi progetti, tanto che nell’immaginario comune Sikorski è ricordato come il realizzatore effettivo dell’elicottero. Nel 1942 aveva realizzato il PD3, che fu anche provato, ma poi fu inspiegabilmente recluso in un capannone della provincia di Pisa. Dopo la guerra, sia D’Ascanio sia la Piaggio continuarono a lavorare sull’elicottero italiano, e così nacque il PD4, il quale però, dopo un incidente siorato nel 1952, fu definitivamente accantonato.

D’Ascanio utilizzò i droni solo in giardino

Prima di parlare della Vespa, oggetto che consegnò D’Ascanio alla storia, ricordiamo che dal 1960 al 1970 progettò e costruì degli antenati dei droni, delle autentiche Vespe dell’aria, nel suo garage: si trattava di mini-elicotteri, dei droni, concepiti per l’irrigazione dei campi, economici e alla portata di tutti. Purtroppo neanche questo oggetto trovò interesse e così rimase nel garage dell’ingegnere. La guerra aveva ladciato macerie e fabbriche distrutte: le uniche ancora in piedi fabbricavano armamenti. Occorreva riconvertire, e in fretta. A quel punto Enrico Piaggio ebbe una geniale intuizione, pari a quella dell’idea della Topolino o del Maggiolino, ossia costruire un motociclo economico, pratico, gradevole, alla portata di tutti, semplice meccanicamente, che riportasse, per così dire, la nostra industria in sella. Dopo un tentativo fallito con uno scooter chiamato Paperino, nell’estate di quell’anno Piaggio chiamò D’Ascanio e gli sottopose il problema. D’Ascanio, non amando le motociclette, ne creò una che non fosse tale, e lo fece attingendo a quanto offrivano i residuati bellici. Le ruote infatti erano inizialmente quelli dei carrelli dei caccia italiani, altrimenti perché fare una moto con le ruote sottodimensionate? D’Ascanio immaginò insomma un mezzo per chi non era mai salito su una moto, con la guida più facile, e che in caso di foratura non ti lasciasse a piedi. Nacque la Vespa, vero brand italiano, che oggi ha venduto nel mondo milioni e milioni di esemplari. Era il 1946, e l’anno successivo nasceva l’analoga Lambretta Innocenti. Nel 1961 D’Ascanio, rimasto vedovo, si risposò con Amalia Manetti, continuò a prestare consulenza alla Piaggio e insegnò all’università di Ingegneria di Pisa, città nella quale morì. È sepolto a Popoli nella tomba di famiglia, a lui sono stati dedicati libri, strade, scuole.

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