“Spacchettamento”, Renzi lo vorrebbe ma non lo dice: «Decidono le corti»
Renzi “tentato” dallo spacchettamento dei quesiti refendari? Forse. Probabilmente sarebbe una via d’uscita utile, un salvataggio in corner, visto il clima non buono e visto l’esito negativo che tutti i sondaggi fin’ora fotografano. Il Sì viaggia tutt’altro che col vento in poppa, ma il premier Renzi non può certo permettersi di misconoscere la sua creatura, la riforma costituzioale sulla quale ha puntato i dadi per la sua permanenza a Palazzo Chigi. Quindi non potendosi permettere di ridiscuterne l’impianto, come lo pressa gran parte del Pd, ecco che il cosiddetto “spacchettamento” potrebbe fargli gioco. Ma evita accuratamente di dirlo apertamente. «Lo spacchettamento non dipende da noi, come la data» del referendum costituzionale, ha dichiarato Matteo Renzi in conferenza stampa al vertice Nato a Varsavia. «Ragionevolmente, per come la vedo io, si dovrà votare su una scheda ma se la Cassazione o la Corte costituzionale decideranno diversamente, non abbiamo nessun problema», ha aggiunto.
Lo spacchettamento è una manovra da disperati
Renzi finora ha sempre perorato la strada del quesito unico, e il Pd sta completando su questo la raccolta delle firme da presentare in Cassazione. Ma negli ultimi giorni ha lasciato filtrare che, qualora si decidesse diversament, ne prenderà atto. Insomma, il premier non è intenzionato a fare una battaglia campale sul numero di schede, a quanto pare. Anche perché sarebbe un modo per «depotenziare» il referendum e naturalmente anche i risultati. Il no del centrodestra all’idea che sta prendendo quota è netto. Tentare di allungare i tempi del referendum sulla Costituzione oltre il ragionevole o, peggio, di spacchettare il quesito in diverse votazioni è una «manovra da disperati». «Non è che col trucchetto della divisione del quesito o col balletto delle date il governo convincerà gli italiani a votare sì a queste sgangherate riforme», incalza il governatore della Liguria e consigliere politico di Silvio Berlusconi Giovanni Toti dai microfoni del Tg5. Le riforme, ha spiegato «Sono sbagliate nella forma perché spaccano il Paese e nella sostanza perché non sono quello che servono, anzi peggiorano la situazione. Andando a votare “No” i cittadini finalmente potranno esprimersi su un governo che nessuno ha eletto ed aprire la strada ad un governo scelto da loro e a nuove riforme che, questa volta, servano davvero agli italiani alle famiglie e alle imprese».
Lo “spacchettamento” è un inganno
«Lo spacchettamento del quesito referendario avrebbe il sapore dell’inganno. Sia nei confronti del Parlamento che degli italiani chiamati al voto. Nei confronti del Parlamento perché le Camere si sono espresse su un unico testo e non su più parti. Nei confronti degli italiani perché e’ giusto che i cittadini possano approvare o non approvare complessivamente una riforma che, per ammissione dello stesso premier, caratterizza simbolicamente tutto l’operato del suo esecutivo», argomenta Paolo Romani, presidente del gruppo di Forza Italia al Senato. «Il presidente del Consiglio – prosegue Romani -, per usare un’espressione che gli è cara, stia sereno. Si voti presto ad ottobre, prima di qualsiasi modifica della legge elettorale, e si dia ai cittadini la possibilità di scegliere. Se apprezzano il ddl Boschi, Renzi resterà al suo posto. Altrimenti, è logico e naturale che, come aveva annunciato, ne tragga le conseguenze».