“Da Salò al salotto”: l’autobiografia di Storace racconta la parabola di AN
All’estero, il nume tutelare è Marine Le Pen. In Italia, un ex comunista padano, «il coraggioso leader della Lega» Matteo Salvini. Ed è lui il futuro: «Se la Meloni e Salvini stessero insieme, senza pastoie di partito, l’Italia sarebbe pronta a votare il nuovo movimento per la sovranità nazionale». Sono le ultime frasi di La prossima a destra, autobiografia di Francesco Storace, che è anche un viaggio nella fine della destra incarnata da An e nell’esaurimento di una certa storia ideologica che, con il consueto stile icastico, si legge su “Il Corriere della Sera“.
Il libro «Da Salò al salotto». La destra vista da Storace
Storace definisce come la transizione «da Salò al salotto». Ovvio che lui preferisca ancora Salò, con tanto di anuniccamenti nostalgici alla memoria del Duce («Scrivere Mussolini — dice parlando di un voto dato malvolentieri ad Alessandra — è stato comunque emozionante»). Ma il fondatore della Destra su qualche poltrona nella sua vita si è accomodato: cinque anni da presidente della Regione Lazio (soprannome Epurator, per gli attacchi alla dirigenza), uno da ministro della Salute e quattro da presidente di Vigilanza Rai. Non abbastanza da scalfirne il carattere ruspante.
Storace racconta la parabola di Alleanza Nazionale
Storace si compiace di raccontare di quando, pur consapevole della volontà di Gianfranco Fini di farlo diventare ministro, se ne partì per Rimini. Telefonata del Quirinale: «Dica, feci con nonchalance ciociarobritish». Seguono pagine sulle sfuriate di Gianni Letta sul primo ministro scravattato della storia della Repubblica e aneddoti su quando sussurrò a uno sbigottito Romano Prodi che chiedeva lumi sulla rapidità con cui metteva in voto le delibere: «Si, semo fascisti». Ma sono pagine illuminanti anche dei travagli della destra e della parabola di Fini. Storace non ne disconosce i meriti, ma poi lo contesta duramente, a modo suo: «in certi momenti lo avrei strozzato brutalmente». Ma è acqua passata, come le molte inchieste (è stato appena assolto in Appello dall’accusa di vilipendio all’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano) e l’altro soprannome, «mister miliardi», con allusione ai debiti contratti da presidente della Regione. «Una bubbola, una bugia propagandistica», la chiama Storace, che conclude il libro con una citazione di Giorgio Almirante («Noi siamo caduti e ci siamo rialzati parecchie volte»).