Evola filosofo in guerra. Un’avventura ricostruita nell’ultimo libro di De Turris
C’è un Evola teorico della Tradizione, un Evola esoterista, un Evola impegnato nel dopoguerra nella costruzione di una destra spirituale. Un filosofo, certo, che ha tanti volti ma indubbiamente anche un personaggio portato all’azione, che non arretra dinanzi ad imprese impossibili. E per questo risulta di grande interesse la lettura del libro di Gianfranco De Turris Julius Evola. Un filosofo in guerra 1943-1945 (Mursia) che ricostruisce – con il ritmo di un giallo ad avviso di Giuseppe Parlato, che firma la prefazione – le avventure di Julius Evola nella tormentata fase storica che va dal 25 luglio 1943 fino al ritorno a Roma nel 1951. Pagine che non hanno solo il merito di consentire una conoscenza non venata da pregiudizio dell’opera evoliana ma anche di restituire il personaggio, molto complesso e “misterioso”, nella sua dimensione tutta umana. La dimensione di chi, tuttavia, anche dinanzi al disastro imminente sa tenersi “in piedi tra le rovine”. Apprendiamo dunque di un Evola controllato dalla polizia di Badoglio, lo seguiamo nel suo viaggio fino a Berlino al fine di prendere contatti per organizzare una rete antibadogliana e quindi a Monaco e fino al quartiere generale di Hitler. Il nome del barone Evola era nella lista di coloro su cui si poteva contare per organizzare una rete clandestina di fascisti rimasti fedeli anche se al filosofo interessava più che altro”quel che si poteva salvare dopo la catastrofe” giacché la guerra si combatteva ormai su posizioni perdute.
Evola scettico sulla scelta della Rsi
Apprendiamo, ancora, le sue perplessità e la sua delusione per la scelta repubblicana di Mussolini a Salò, circostanza che impedì ad Evola una piena adesione ad un’esperienza che pure apprezzava per il suo carattere “combattentistico e legionario”. Uno dei capitoli più interessanti è sicuramente quello in cui De Turris tenta di dare una risposta certa e definitiva sull’Evola agente dei Servizi tedeschi: molte circostanze fanno ritenere che l’ipotesi sia più che fondata, a cominciare dalla scoperta del nome in codice “Maria” attribuito a Evola nella rete si spionaggio e sabotaggio che avrebbe dovuto agire dopo l’occupazione alleata anche se resta da valutare il modo in cui un personaggio come Evola ha interpretato una missione di questo tipo secondo le sue personali vedute. Non meno avvincenti le parti del libro in cui l’autore ricostruisce, anche grazie al contributo di documenti inediti, l’incidente che causò ad Evola una paralisi permanente durante un bombardamento a Vienna, città nella quale il filosofo si trovava in incognito (in contatto sia con un circolo di conservatori guidato dal principe Karl Anton Rohan ma anche con un sottotenente delle SS, agente segreto delle forze armate tedesche) per analizzare carte e documenti che dovevano servirgli per scrivere una Storia delle società segrete che invece non vide mai la luce. Tuttavia le ricostruzioni immaginifiche sull’incidente che mutò le condizioni di vita del filosofo costituirono una “leggenda” talmente avvincente che ne ritroviamo traccia nel romanzo di Mircea Eliade, Diciannove rose, in cui un carismatico personaggio, Ieronim Thanase, ha le gambe immobilizzate e riconduce la sua ferita ad una esperienza spirituale non riuscita. Fantasie pure, scriverà lo stesso Evola ne Il cammino del cinabro, ma dure a morire, e sulle quali lo studio di Gianfranco De Turris mette finalmente la parola fine.