“Affari loro”: Renzi e D’Alema si rinfacciano Telecom e banca Etruria

12 Lug 2016 17:51 - di Marzio Dalla Casta

Ma quale Italicum, quale referendum? Ormai è roba da educande e nello scontro tra Matteo Renzi e Massimo D’Alema non può più trovare posto. Tra il “rottamatore” e il più illustre dei suoi “rottamati” il fioretto non basta più. Fuori la sciabola, anzi la clava. I due hanno ormai smesso di beccarsi su codicilli e doppi turni alla francese e si affrontano, anzi si scontrano su temi molto più scottanti e – diciamolo pure – compromettenti.

Renzi: «La telefonia fu privatizzata con D’Alema al governo»

È stato Renzi a innescare la miccia tirando fuori la storia della privatizzazione di Telecom da parte di «un governo di sinistra», una storia che ha sempre creato qualche imbarazzo a D’Alema, all’epoca presidente del Consiglio. Un’epoca – per intenderci – in cui un professionista di sinistra solitamente bene informato sulle vicende Telecom come Guido Rossi, scherzando ma non troppo, arrivò a definire Palazzo Chigi «l’unica merchant bank in cui non si parla inglese». Correva l’anno 1999 e il dossier più importante sulla scrivania del capo del governo era appunto la scalata del colosso telefonico italiano ad opera di Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti con il “soccorso rosso” dei capitali del Monte Paschi di Siena e di Unipol. L’opa lanciata dai cosiddetti «capitani coraggiosi» (copyright D’Alema), agevolata anche dalla decisione del Tesoro di un utilizzare la golden share per bloccarla, riesce. Ma è un successo effimero: all’inizio del 2001, infatti, Colaninno, Gnutti e i loro soci sono costretti a passare la mano al presidente della Pirelli, Tronchetti Provera e a Benetton.

D’Alema replica al Tg5: «Renzi esperto di insider trading»

«Telecom era una società privata, non c’entrava nulla Palazzo Chigi», replica dai microfoni del Tg5 lo stesso D’Alema, che però sorvola sulla circostanza che in qualità di pemier pro-tempore avrebbe potuto bloccare l’operazione facendo pesare le azioni del Tesoro, limitandosi a rivendicare una «neutralità» del governo rispetto a «scelte di mercato». Ma quel che colpisce della sua dichiarazione è la sciabolata in pieno volto a Renzi: «Potrebbe parlarci delle fughe di notizie sulla banca Etruria e dell’insider trading, questo è un argomento che forse conosce bene». Parole gravissime lanciate da un’ex-premier contro il premier in carica, entrambi – per giunta – con la stessa tessera di partito in tasca: quella del Pd. Insomma, un derby giocato su reciproche ed oblique allusioni su operazioni politico-finanziarie che hanno cambiato il destino di imprese o di migliaia di risparmiatori. Ma non erano loro l’Italia migliore?

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