Numeri da incubo: 46 milioni di schiavi nel mondo. In Italia ne sono 129mila
In 167 Paesi del mondo ben 45,8 milioni di persone nel 2016 vivono in schiavitù – la popolazione di un Paese europeo medio-grande -, sfruttati nel mondo della prostituzione, dei matrimoni forzati, del traffico di migranti, nel mondo produttivo, con un aumento globale stimato del 28% sull’ultima rilevazione analoga, risalente al 2014: lo ha quantificato un rapporto della Walk Free Foundation, un istituto di ricerca privato australiano. Rapporto che stima che in Italia i cosiddetti schiavi siano 129,600, che ne fanno il terzo Paese in Europa, per numero assoluto, dopo Turchia e Polonia, in un continente che di schiavi ne conta un milione e 243mila.
Gli schiavi in Italia, un fenomeno allarmante
Nonostante una popolazione simile, il numero di schiavi in Italia è più di 10 volte quello stimato in Francia. L’indice – si legge – considera la risposta del governo italiano al problema tra le più deboli d’Europa. La classifica del rapporto colloca in cima alla triste classifica per Paesi, in termini assoluti, l’India, dove 18,35 milioni di persone vivono in stato di schiavitù, seguita da Cina (3,39 milioni), Pakistan (2,13 milioni), Bangladesh (1,53 milioni) e Uzbekistan (1,23 milioni). Insieme, questi cinque Paesi rappresentano quasi il 58% della popolazione schiavizzata mondiale, 26,6 milioni di persone. In termini relativi, cioè in rapporto alla popolazione, il Paese che risulta avere un’incidenza maggiore di schiavi è la Corea del Nord, con il 4,37%. La ricerca attesta che dei 167 totali, 161 abbiano adottato qualche provvedimento per contrastare lo sfruttamento estremo. Di questi, 124 hanno leggi che puniscono il traffico di esseri umani, in base alle direttive dell’Onu, mentre 150 stati hanno servizi, anche minimi, in favore delle vittime e 96 hanno piani d’azione nazionali di contrasto. Il Paese più operoso in questa classifica, come risulta alla Walk Free Foundation, è l’Olanda, seguita da Stati Uniti, Regno Unito, Svezia e Australia, in una classifica in cui l’Italia non figura fra i primi, ma solo al 42/o posto. I primi in classifica – si legge nel rapporto – «sono caratterizzati da una volontà politica forte, risorse sufficienti e una forte società civile alla quale i governi devono rispondere». Alcuni progressi significativi – si ricorda – sono stati ottenuti da molti governi dopo la pubblicazione del rapporto del 2014: il governo britannico ha introdotto il Modern Slavery Act nel 2015 e il presidente Barack Obama ha colmato una lacuna nella legge degli Usa vietando l’importazione di prodotti realizzati con lavoro forzato o minorile”. In fondo alla classifica della reazione dei governi figurano Corea del Nord, Iran, Eritrea, Guinea Equatoriale, Hong Kong e Repubblica Centrafricana.