Il voto in Spagna è in controtendenza? Ecco la lezione per il centrodestra italiano
“Estabilidad”, la stabilità: è la parolina magica che ha fatto arrivare primo, nelle elezioni politiche spagnole, Mariano Rajoy, premier uscente e leader dei popolari. Un risultato simile a quello del Pd di Bersani alle elezioni tenute in Italia tre anni fa. È arrivato primo, ma non ha vinto. Non ha i numeri per fare il governo. Ma ha alzato il suo consenso, sia pure in danno dei Ciudadanos, il partito di centro di Albert Rivera che potrebbe entrare in un governo di centrodestra guidato dallo stesso Rajoy.
Podemos – variante non sovrapponibile del M5S – ha deluso se stesso e gli altri. Non ha sfondato ed è rimasto al terzo posto, sotto i socialisti.
Si dice che la Spagna – ormai in assetto quadripolare – sarà ingovernabile. O meglio, la si potrà governare, solo se le due tradizionali forze politiche – popolari e socialisti – raggiungeranno un’intesa per un governo di unità nazionale.
Un modello che – secondo alcuni – potrebbe fermare l’assedio populista in Europa. È la ricetta che in Austria ha provato ad arrestare l’ascesa del nazional-populista Norbert Hofer alla presidenza della Repubblica: tutti contro uno, con socialisti e conservatori in testa, al governo insieme da anni. Asset andato in crisi, dopo che al primo turno, il candidato di Fpo, è arrivato primo col 35% dei voti: tant’è che il Cancelliere socialista Faymann si è dimesso.
Le grandi coalizioni? Fabbriche di populismo
C’è una lezione spagnola per la politica europea e italiana? C’è qualche insegnamento da trarre per il centrodestra e la destra? Probabilmente sì. Ma non è la conclusione che tira il mondo renziano, per il quale l'”ingovernabilità” della Spagna ci deve convincere della bontà dell’Italicum, la legge elettorale, imposta dal premier, la quale prevede il ballottaggio tra le prime due liste che non abbiano raggiunto al primo turno il 40% e un premio di maggioranza a quella che prevale al secondo turno; con gli effetti distorsivi del consenso che conosciamo, oltre a quello provocato dai capilista bloccati, replica del Porcellum.
A Madrid, si sta pensando a una coalizione tra i due maggiori partiti, Pp e Psoe. Una soluzione per uscire dall’impasse. Nell’immediato. La stessa governance della Commissione Ue: un compromesso tra le due maggiori famiglie politiche del Vecchio Continente. Ed è quella adottata in Germania, in Austria, in Italia. Con un dato che va subito sottolineato: gli esecutivi di unità nazionale, inventati per fermare l’ascesa di terze forze, inevitabilmente finiscono per assottigliare i partiti di governo. Diventano macchine che producono perdità di identità politica e insoddisfazione sociale. Invece di combattere il populismo, lo incrementano. In Germania, al tempo del “Groko” – come i tedeschi chiamano la grande coalizione tra Cdu/Csu e Spd guidata da Angela Merkel – è nata Afd, la destra populista che ha raggiunto in poco tempo quota 14%, diventando il terzo partito. In Italia, dopo i governi di Monti e Letta, a cui è succeduto quello di Renzi – anch’esso retto da un’alleanza della sinistra con un pezzo di centrodestra ( il partito di Alfano) e di centro (ex Scelta civica e Udc) – si è avuta un’escalation del M5S di Grillo. Dell’Austria si è detto: poco meno del 50% degli elettori ha votato Norbert Hofer, del Partito della Libertà, al ballottaggio poi perso per un soffio col candidato benedetto da tutti gli altri, il verde Van der Bellen. I due partiti di governo non erano arrivati neppure al secondo turno.
Se la Spagna sperimenterà l’alleanza tra popolari e socialisti, Podemos forse guadagnerà quelle posizioni alle quali aspira e che – contro tutte le previsioni – nelle elezioni di domenica scorsa non è riuscito a conquistare. Probabilmente perché, nonostante la perdita di consenso progressiva, finora Pp e Psoe non hanno imboccato la strada dell’abbraccio mortale tra loro. Che, però, adesso è all’orizzonte.
Da Madrid a Roma: l’Italicum suicidio politico del Rottamatore
La soluzione è allora lo “spareggio” finale previsto dall’Italicum ? Non proprio. Il ballottaggio tra liste – lo si è visto alle Amministrative – fa arrivare direttamente nella stanza dei bottoni i Cinque Stelle. Renzi si ritroverà contro una legge che aveva confezionato per il suo Pd. E che invece si è trasformata in una macchina micidiale in favore dei grillini. Anche l’attuale premier potrà essere colpito dalla nemesi la quale vuole che le leggi elettorali su misura si ritorcano contro chi le fa per sé. Così andrà in scena il suicidio politico del Rottamatore. È abnorme il meccanismo in virtù del quale una lista, che al primo turno dovesse arrivare prima con una percentuale del 30% (o meno) e vincesse poi il ballottaggio, si aggiudichi il 55% dei deputati. E lo è in ogni caso: sia se vincesse Renzi, come anche il M5S o il centrodestra. La parte offesa non sarebbe questo o quel partito, ma il corpo elettorale che vedrebbe alterata la distribuzione del consenso dallo stesso espressa. Uno squilibrio che, nel sistema tripolare odierno, è quasi certo; con l’aggiunta che il terzo escluso deciderebbe col suo voto la finale tra i primi due. In Italia sarebbe certa la vittoria dei grillini. I quali, non essendo coperti delle ferite causate da venti anni di feroce contrapposizione bipolare tra centrodestra e centrosinistra, hanno maggiore agibilità nel “ricevere” da ambedue i poli, come seconda opzione. Le recenti elezioni comunali lo hanno dimostrato.
Quindi, la grande coalizione e il secondo turno tra liste singole, favoriscono le forze populiste. Che quasi sempre fanno la corsa solitaria. E quando non la fanno – Podemos ha provato ad allearsi con Izquierda Unida – non sono più premiate.
Infine: il risultato di Rajoj fa presagire un recupero del centrodestra anche negli altri paesi ? C’è da aspettarsi uno stop ai movimenti radicali in coincidenza con la prova deludente di Podemos ? È un segnale “controrivoluzionario” che può rivestire una qualche rilevanza generale o è una specificità iberica ? Nè l’uno, né l’altro. È piuttosto la prova che “grillismo” e l'”iglesismo” avanzano o arretrano secondo lo spazio che lasciano loro destra e sinistra. E che la marea populista non è una variabile indipendente. Può andare in crisi. Ma non sempre, come in Spagna, evocare la stabilità può bastare.
Per questo, il centrodestra italiano dovrà fare esprimere al suo interno le forze di destra capaci di dare vita non a un populismo “indignado”, ma di governo; capace di arare il campo “conservatore” con una carica d’innovazione e di responsabilità: un mix richiesto dal tempo politico che l’Europa sta vivendo. In Italia, i partiti di Salvini e Meloni, aspirano a interpretare questo ruolo, mantenendo, anche in alleanza, la propria fisionomia. Il futuro ci dirà se ne saranno capaci.