Francesco Cecchin, ucciso 37 anni fa, ricordato con veglia e “presente”

16 Giu 2016 1:01 - di Antonio Pannullo

Come ogni anno, dal giugno del 1979, si è tenuta a piazza Vescovio a Roma, la veglia in memoria di Francesco Cecchin, il giovane attivista del Fronte della Gioventù assassinato brutalmente da avversari politici. Oggi, giovedì, alle 18 ci sarà la cerimonia del “presente” nel luogo in cui fu assassinato. Francesco non aveva ancora 18 anni, li avrebbe compiuti di lì a qualche mese. L’omicidio Cecchin, per il quale nessuno ha pagato, come è accaduto per altri omicidi politici, è la dimostrazione più lampante di come in quegli anni fosse stata promulgata di fatto la barbara legge secondo cui uccidere un fascista non è reato. Sia dalle frange della sinistra estrema ma anche dai partiti cosiddetti democratici e dalle stesse istituzioni, che costantemente e sistematicamente criminalizzavano in ogni modo il Movimento Sociale Italiano e i suoi militanti, contribuendo irresponsabilmente ad alimentare un clima di odio e di violenza. Francesco Cecchin fu aggredito e gettato di sotto, sulla terrazza di un condominio, perché aveva osato attaccare dei manifesti (quell’anno c’erano le elezioni europee) in una zona contesa con le sinistre. La storia è troppo nota e troppo raccontata per doverci qui ritornare, ma basti ricordare che per ammissione pressoché unanime le indagini furono condotte in maniera superficiale, approssimativa, dilettantesca, per non dire peggio. Come le successive sentenze confermarono. Tanto che quando l’imputato S.M. fu assolto, l’avvocato di Cecchin, Battista, leggendo le motivazione disse che quelle parole avrebbero dovuto accompagnare una condanna e non un’assoluzione.

Per Cecchin le indagini furono vergognosamente superficiali

Se l’operato degli inquirenti fu pessimo, non così quello dei camerati di Cecchin, che sin dal giorno dopo l’aggressione, capito che non c’era la volontà da parte delle istituzioni di accertare la verità dei fatti, condussero un’accurata e seria analisi di quanto era accaduto, compilando un vero e proprio dossier in cui la dinamica era perfettamente e precisamente ricostruita. Malgrado il verdetto sfavorevole, i ragazzi del Fronte che scrissero il dossier, tra cui Flavio Amadio, che fu anche il primo a giungere sul luogo dell’aggressione quella notte, insieme a Marco M., autore quest’ultimo di un bellissimo manifesto che ricorda Cecchin, ebbero l’amara soddisfazione di vedere che la sentenza confermava quello che loro avevano scritto: ossia che non era vero che Francesco era caduto di sotto mentre scappava, come dissero subito gli inquirenti, ma che era stato brutalmente percosso e poi gettato di sotto. Francesco fu portato al San Giovanni e rimase in agonia 16 giorni, durante i quali si alternarono a vegliarlo, oltre che la famiglia distrutta,i genitori Antonio e Valeria e la sorella Maria Carla, la quale si trovava con lui nel momento dell’aggressione, decine di ragazzi del Fronte. Però, ricordò il padre in un’intervista, la polizia non predispose alcun servizio di sorveglianza, il che è strano perché Francesco Cecchin nel caso si fosse risvegliato avrebbe potuto riconoscere e denunciare i suoi aggressori.

Per l’omicidio Cecchin fortemente sospettati attivisti del Pci

I comunisti della vicina sezione del Pci di via Montebuono hanno sempre negato la responsabilità nell’omicidio, ma è un fatto che dopo quanto accaduto Luigi Petroselli, esponente di rilievo del Pci, che di lì a poco sarebbe diventato sindaco di Roma, chiuse subito quella sede. Francesco non ha avuto giustizia, ma non è stato mai dimenticato dai suoi fratelli: a ogni anniversario, per 37 anni, si sono tenute le veglie, le commemorazioni, i pellegrinaggi a Nusco, paese di origine della famiglia, dove oggi Francesco riposa. In quegli anni era impossibile pensare di intitolare una via, una piazza, a un “fascista”, anche se era un martire dell’odio politico, per le ragioni che tutti conoscono. Ma il progetto di costruire qualcosa che rimanesse si è concretizzato con l’avvento al Campidoglio di Gianni Alemanno, nel 2008. Alemanno conosceva bene Cecchin, frequentava la sezione Trieste Salario, si adoperò anche lui non solo per compilare il dossier ma anche per la stampa dei manifesti realizzati subito dopo la sua morte. Il manifesto, bellissimo, fu disegnato da Marcello De Angelis una sera a casa sua insieme con altri amici di Francesco, e avrebbe dovuto essere stampato con la modesta serigrafia della sezione. Ma poi, per intervento di Gianfranco Fini, la rotativa del Secolo d’Italia ne stampò migliaia di copie che vennero affisse in tutta Roma. Alemanno dette subito il via al progetto di dedicare un giardino a Francesco Cecchin e a realizzare un monumento che lo ricordasse. Lo schizzo fu disegnato da Fabrizio Bruschelli, e realizzato tecnicamente da Giuseppe Pezzotti, che è un architetto, ma tutti gli amici di Francesco hanno collaborato in ogni modo alla realizzazione di questo progetto alla sua memoria. Vogliamo citarli, scusandoci se abbiamo involontariamente omesso qualcuno: Luca, Giulio, Fabrizio, Giampiero, Francesco, Flavio, Maurizio, Stefano, Chicco, Alessandro, Giuseppe, Giancarlo, tutti ragazzi (allora) che frequentavano la sezione del Msi del Trieste Salario e piazza Vescovio. Da sottolineare infine, con grande amarezza, che il Pd e l’Anpi sollevarono furiose quanto strumentali polemiche contro la realizzazione di un’opera doverosa quanto pacificatrice come il monumento. Quando avverrà che in questo Paese uccidere chi non la pensa come gli altri sarà finalmente considerato un reato?

(nella foto, Francesco Cecchin nel gennaio 1978 alla cerimonia nella chiesa di Santa Maria degli Angeli per Bigonzetti, Ciavatta, Recchioni e Pistolesi, assassinati nei giorni precedenti)

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *